So di non essere originale, ma perché in questo Paese la tragedia prende sempre i colori della farsa? Le lacrime, la tragedia di un uomo che ha avuto testa dura per governare più di ogni altro l’Italia repubblicana, e ora assiste, in vita, al suo funerale. Certo con lenzuola immacolate e lo sfarzo che spetta a un Re. Ma sulla tomba egli legge: “frodò il fisco mentre governava, corruppe parlamentari, utilizzò prostitute minorenni, comprò testimoni”. Morire è sempre amaro, così deve essere amarissimo.
E la farsa. Quella che induce, senza alcun pudore, a sostenere che tutti i magistrati in Italia, d’Assise, d’Appello, di Cassazione, per non dire dei Pubblici Ministeri, sono solo miserabili “impiegati rosi dall’invidia”. E complottano per usurpare il Potere Politico cioè, in ultima analisi, il Potere del Popolo. O lo spirito del clown stanco che, per catturare gli sguardi, minaccia sfracelli, la “guerra civile”, e poi si acquatta ai piedi del Governo e si mette in coda per mendicare un’udienza al Quirinale. Le lacrime, per la perduta fortuna, velano gli occhi e fanno immaginare “una folla immensa”, “decine di migliaia che sfidano l’afa” laddove tremila sfaccendati, stipati su pullman con i condizionatori a palla, pranzo e cena pagati e il groppo in gola, vengono a vedere un Re senza eredi che sta per finire nella polvere manzoniana.
“Resto, il governo vada avanti”, titola La Stampa. “Il comizio del condannato”, l’Unità. “Berlusconi non affonda il governo”, Corriere della Sera. “Berlusconi, il governo vada avanti”, Repubblica. Questa volta non era facile, il titolo di prima pagina. Sbagliato, certo, insistere sul via libera al Governo: via libera concesso da un condannato? E per far che, e fino a quando? Ma anche la parola “ricatto”,(a Letta, a Napolitano, al Pd) davanti a quel funerale grottesco, con le lacrime che si scioglievano sotto il caldo impietoso di Roma, beh anche la parola “ricatto” mi sarebbe apparsa stonata. L’unica idea, alla fine, l’ha avuta Sallusti che ha sfornato un titolo da teatro dell’assurdo: “La piazza libera Berlusconi”. Quei poveretti, più bandiere che mani per tenerle, come il popolo di Parigi quando prese la Bastiglia!
Così i commentatori più avvertiti spostano il loro obiettivo dai pellegrini di via del Plebiscito a chi non c’era, a chi è rimasto a casa perché guarda e giudica “dal di fuori” e non pensa che “il nostro maggiore problema sia Berlusconi e la sua sorte”. È Sergio Romano che evoca questa Italia profonda, un’Italia, egli dice, “moderata, ragionevole e con la testa sulle spalle” non disposta a “seguire (pro e contro Berlusconi) in una nuova avventura elettorale”. L’ambasciatore Romano ritiene che questa Italia sappia apprezzare il bicchiere mezzo pieno: “Monti e Letta sono riusciti a correggere l’immagine dell’Italia”, “la riforma Fornero” ci ha regalato gli “esodati”, ma “ha portato alla diminuzione dei pensionamenti”, lo spread è diminuito, “Obama, preoccupato del caos libico, ha chiesto l’aiuto dell’Italia, non quello delle Francia”. Ci può essere del vero, in questo racconto. Ma vorrei che Romano venisse oggi in Senato con me, per mostrargli quante ribalderie insulse, quanti interessi inconfessabili e soprattutto quale degrado della capacità di legiferare si accompagnino alle poche cose utili, anzi indispensabili, contenute nel decreto del “Fare”. Lo voteremo, questo decreto, il governo andrà avanti, a tappare i troppi buchi sotto la linea di galleggiamento della nave Italia. Ma così non si risana l’economia, non si aggiusta il motore (dello Stato), non si cura la sfiducia nel Capitano, ormai è diffusa nell’equipaggio e fra i passeggeri.
A Romano risponde bene Gian Enrico Rusconi, su La Stampa. “La stabilità è certamente un valore, ma l’unica risposta al ricatto politico (grazia o voto) o alla minaccia verbalmente sovversiva (‘soluzione o guerra civile’) è accettare la sfida delle elezioni da tenere il più presto possibile”. “Soltanto le urne daranno voce a milioni di zittiti. E voteranno affinché un fallibile sistema di pesi e contrappesi istituzionali, che si chiama democrazia, riprenda a funzionare. Anzi continui a funzionare”. L’alternativa è che il ricatto continui. Fino alla grazia, che non può essere concessa, perché su B pendono altri processi. Fino a brigare perché un voto segreto del Senato rifiuti di applicare la sentenza. Fino a far crescere la sfiducia nelle leggi dello Stato, mostrando che esse si applicano a tutti meno che a uno.
Sono preoccupato, caro Rusconi, ho paura per il mio Paese, caro Romano. Temo che la grande cultura, ma ideologica, post comunista, idealista e persino gentiliana, porti il Capo dello Stato a confondere il Paese che soffre e resiste con chi ne ha usurpato le istituzioni, occupando Parlamento, Governo e tutti i ruoli pubblici che discendono dai Partiti. Temo che la natura tecnico – pragmatica e democristiana del nostro Presidente del Consiglio lo porti a pensare che il fine giustifica sempre i mezzi. Restituiamo finalmente qualche soldo alle imprese, che sarà mai se un emendamento autorizza la speculazione edilizia o l’abuso del territorio? E poco importa se si è dovuto mentire in Parlamento su Alma e Alua. O se si dovrà volgere lo sguardo altrove per consentire al Caimano di morire Senatore.
Il Paese, cari Presidente, ha bisogno di verità. Questo popolo che non vota o ha votato 5 Stelle, questo popolo che tace rassegnato o scrive “vergogna”, stravaccato sul divano di casa, deve essere sfidato, snidato, motivato, se possibile. Se il “sogno” davanti al televisore, è stato l’oppio del ventennio trascorso, l’uso della Rete come la piazza della Rivoluzione, in cui si sputa e si insulta mentre cadono (virtualmente) le teste dei decisori, può essere l’alibi e il trastullo per ammazzare il tempo mentre si precipita nell’abisso.
Si torni alla politica. Ha detto bene Bersani ieri su Sky. 5Stelle vuol cambiare la legge elettorale per avvicinare il voto? Faccia la sua proposta. Di governo c’è bisogno 3 volte, ha aggiunto, ma non si può governare a tutti i costi.