In Egitto c’e’ una grande tragedia in corso e ci sono enormi problemi per l’informazione, sempre più indispensabile. Altri giornalisti sono morti in questi giorni in cui cadono centinaia di manifestanti dei “Fratelli musulmani” e di militari e poliziotti del governo voluto dalla Forze armate. Decine di giornalisti di tutto il mondo ogni giorno corrono rischi alti per essere testimoni di verità, come successo anche alle e agli italiani Gabriella Simoni e Arturo Scotti (Mediaset) e Maria Gianniti e Sergio Cianiermata (Rai), tra tanta trepidazione, rilasciati dopo alcune ore dai militari dell’Esercito. In queste condizioni lavorare per informare correttamente è la missione più difficile da compiere, che diversi giornalisti di tutto il mondo, come centinaia di civili stanno oggi pagando con la vita. Un prezzo che non potremo, testimoni di libertà e di diritti umani universali, mai accettare come giusto I colleghi della Federazione araba dei giornalisti si danno da fare per far passare tra i contendenti il concetto dei giornalisti quali operatori non belligeranti al servizio della informazione si fatti, ma in un contesto infuocato e segnato da ataviche diffidenze hanno difficoltà’ a incidere. C’e’troppa diffidenza verso di loro. E c’e’, nei Paesi della “Primavera araba” un caso Al Jazeera, la tv qatariota che si e’ imposta nel mondo ma che’ in quelle aree e, da tanti, considerata divisiva e invadente. È ciò talvolta alimenta ulteriori tensioni verso la categoria del giornalismo, Gli inviati stranieri fanno il loro meglio, talvolta esponendosi oltre ogni ragionevole limite, operando secondo i canoni del giornalismo occidentale che santifica la notizia. E una notizia e’ un’attrazione assoluta per un giornalista testimone, ma quest’attrazione può’ diventare fatale. Muoversi con cautela e’ d’obbligo. Ma e’ più facile a dirsi che a farsi, quando un giornalista testimone si trova davanti o in mezzo a un evento (tragico e storico). Siamo in contatto con alcuni inviati italiani. Si muovono tenendosi a stretto contatto, per scambiarsi note di rischio e poter essere localizzati subito se qualcuno si dovesse trovare in situazioni di emergenza. Stanno facendo un lavoro delicato, che evidenzia il valore del giornalismo. Non vorremo altri morti in questa e’ diventata una guerra civile, a fronte di una fallita o incompiuta “primavera” araba. La comunità’ internazionale ha fatto troppo da spettatrice, molto poco per favorire reali processi di democrazia e di laicita’ degli Stati. Le religioni trasformate -come quella praticata in questo caso da certi gruppi musulmani – in legge civile o in potere costituito non risolvono i problemi comunitari. La cura spirituale dell’uomo non passa per sopraffazioni che si sostituiscono ad altre precedenti da cui si voleva la liberazione, ne’ per la via della vendetta di setta. Ma questo ancora capita nel 2013 in molte parti del mondo, E’ tragedia. Un buon giornalismo, attento, competente e leale e’ fondamentale per informare e formare opinioni pubbliche capaci di reagire con civilta’. C’e’molto, tanto da fare. Grazie a chi, sul campo, e’ “ingaggiato” solo in questa direzione, che non e’ esclusivamente professionale ma profondamente umana. Con la Federazione internazionale dei giornalisti non cesseremo di lavorare in profondità per la promozione di iniziative utili a sviluppare, tra i colleghi e nelle società’, i significati del giornalismo etico, sottratto al controllo dei poteri (micidiali quelli assoluti) e non confondibile con le fazioni in guerra, tanto più quando tra esse non ci sono solo movimenti di liberazione democratica. In Egitto e in altri Paesi della regione araba questo è il lavoro più delicato da compiere, sapendo che i semi avranno – ahinoi – bisogno di molto tempo e costanza per fruttificare. Nel frattempo urge – ma latita – un’autorevole iniziativa della comunità internazionale.
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