di Tonio Dell’Olio
La visita annunciata del Papa a Lampedusa non può e non deve essere considerata una delle consuete visite pastorali che il Vescovo di Roma riserva a una chiesa locale. Tutt’altro che una solenne cerimonia paludata. Questa volta non ci sono nuovi beati da annunciare o eventi storici da ricordare.
C’è carne e sangue, volti e storie. Un dramma che altri tentano di rimuovere e che Francesco vuole mettere al centro di tutti, credenti e laici, soprattutto della politica. Un Papa come Francesco che rifugge i formalismi e intende piuttosto porre dei segnali forti, ci indica una direzione, un valore, un impegno: accogliere. Chiede alla comunità cristiana di coltivare la pedagogia dei fatti e di seminare segni. Ad altri di costruire politiche che invertano il crinale su cui siamo scivolati inesorabilmente e che prevede centri di detenzione finalizzati all’espulsione e un codice penale che trasforma le vittime in criminali.
La miseria è criminalizzata e le mafie ringraziano perché proprio quelle leggi permettono loro di realizzare maggiori profitti. Un mondo in cui tutto favorisce la libera circolazione delle merci e ostacola il cammino delle persone, somiglia tanto a quell’antico commento ebraico (midrash) al racconto della Torre di Babele che lo stesso Papa Francesco ha ricordato recentemente. Si dice che la torre era ormai diventata così alta che per raggiungere la sommità si impiegava un anno. Avveniva così che se un operaio che trasportava un mattone verso la cima, per la stanchezza o lo sfinimento, cadesse, tutti piangevano perché… si perdeva un mattone.
Grazie a Francesco che ci ricorda quanto le persone valgano incommensurabilmente di più dei mattoni.