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Schermi neri. A Catania chiude D1 tivù

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A Catania si è spenta un’altra voce del panorama informativo. Da lunedì 1° luglio ha interrotto le trasmissioni l’emittente televisiva D1. Si tratta dell’ennesima tv locale cancellata dopo il passaggio al digitale terrestre del giugno 2012. E’ il terzo fallimento di rilievo che si consuma alle falde dell’Etna. Prima dell’emittente della famiglia Di Fazio a chiudere i battenti sono state Telecolor Antenna Sicilia del magnate dell’editoria siciliana Mario Ciancio Sanfilippo. In meno di sei mesi 40 posti di lavoro bruciati tra tecnici e redattori. Ma il costo più alto, come sempre in questi casi, lo pagheranno i cittadini dal punto di vista dell’accesso all’informazione.

Rispetto al duopolio fotografato dalla Legge Mammì nel 1990, con un sistema bloccato di tre reti per ogni editore, oggi le piccole realtà locali si trovano a fronteggiare una concorrenza sproporzionata e spietata. Rai e Mediaset hanno aggiornato la propria offerta con decine di canali tematici, nuovi investitori come Telecom Italia e L’Espresso sono entrati prepotentemente sul mercato nazionale, mentre la numerazione dei decoder relega le televisioni locali sempre più in fondo nei bouquet digitali.
Al resto ci pensa la crisi: mentre i bilanci delle emittenti regionali e provinciali sono messi a dura prova dalla mancanza di investitori, lo Stato ha tagliato i fondi destinati all’editoria locale. E’ un paradosso che i cittadini riescano a conoscere in tempo reale cosa accade a migliaia di chilometri di distanza mentre è sempre più difficile sapere cosa succede fuori dalle proprie mura di casa. Il sistema dell’informazione rimane appannaggio dei grandi gruppi e le piccole redazioni, per sopravvivere, possono solo smettere di fare giornalismo e affidarsi all’elemosina degli enti locali.
A Catania cala il sipario su un segnale acceso da oltre 30 anni. Nel salutare i propri telespettatori, l’editore Francesco Di Fazio ha denunciato le promesse non mantenute e le sforbiciate del governatore Rosario Crocetta: “Non bisogna tagliare ma investire, rilanciare l’economia” – scrive sul proprio sito internet – “dietro il  successo di un’azienda  ci sono le persone, donne uomini e sopratutto i loro figli. […] Noi abbiamo lottato con tutte le nostre forze ma alla fine nessuno ci ha aiutato e così 30 anni della nostra storia verranno buttati nel cestino. Ogni singolo  dipendente, ogni singolo impiegato in questa bella realtà televisiva è  sempre stato trattato come uno di famiglia e dunque la chiusura dell’emittente non è solo un fallimento morale per la famiglia Di Fazio ma una sconfitta per tutti noi”.
Sulla stessa linea Davide Foti, segretario della Slc Cgil etnea, che ai microfoni di RadioArticolo1 ha ricordato come da 4 anni il sindacato solleciti la regione per intervenire a supporto delle piccole aziende radiotelevisive nel delicato passaggio tecnologico al digitale senza ricevere risposte soddisfacenti. Secondo il sindacalista, insieme alle parti datoriali, va sciolto il nodo degli ammortizzatori sociali per le maestranze di radio e tv: i contratti Frt e Aeranti Corallo non prevedono l’istituto della cassa integrazione, così chi perde il lavoro non ha diritto ad alcun sostegno.
Nei giorni scorsi Rai, Mediaset, Sky, La7, Telecom Italia Media e la Frt – Federazione Radio Televisioni (in rappresentanza delle imprese televisive e radiofoniche locali e nazionali) hanno costituito a Roma l’associazione “Confindustria RadioTv”.
In una nota si legge che il nuovo soggetto riunirà tutte le principali aziende radiotelevisive italiane: dal servizio pubblico agli operatori privati nazionali, alle piccole e medie imprese operanti sul territorio. Al centro dell’operato della nuova associazione un approccio di sistema che consenta di affrontare congiuntamente tutte le tematiche del settore.
L’unica speranza è che sia l’occasione per rimettere in ordine un sistema cambiato troppo velocemente e con un enorme gap: le regole scritte dall’ex ministro Maurizio Gasparri, in rappresentanza di uno solo degli attori presenti sul mercato.

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