Questa volta il governo rischia. E non perché Matteo Renzi abbia detto quel che tutti sanno, e cioè che “l’accordo Pd-PDL non può durare a lungo”. Ma perché non è credibile che il prefetto Procaccini, capo gabinetto al Viminale, funzionario da 400mila euro l’anno – scrive La Stampa -, abbia ricevuto il 27 giugno l’ambasciatore Kazako di sua iniziativa, abbia poi messo su il blitz nella villa di Casal Palocco con la complicità del Vice Capo della Polizia Marangoni, che insieme abbiano poi ordinato il sequestro e la deportazione di due donne regolarmente ospiti del nostro paese, e che tutto questo lo abbiano fatto senza mai informare il “loro” ministro, Angelino Alfano. Non è credibile, ma se fosse vero, se davvero Procaccini e Marangoni avessero agito a insaputa del ministro, a maggior ragione Alfano si dovrebbe dimettere. Un ministro dell’Interno che si lascia fare una cosa così è, infatti, un pericolo per lo Stato democratico. Dunque dimissioni di Alfano, sia che sapesse sia che fosse ignaro, come chiedono da ieri anche Repubblica ed Ezio Mauro. Ma Alfano non può dimettersi. La ragion politica glielo impedisce. Se lo facesse, azzopperebbe nel PDL e nel Pd i “governisti” rispetto ai “falchi”. Dunque non si dimetterà. Sì, ma se un ministro dell’interno inesistente decidesse di restare comunque al suo posto, ecco che la sua provata insussistenza si contagerebbe al ministro degli Esteri e al Presidente del Consiglio. Si scolpirebbe sulla pietra il principio, che la nostra sovranità nazionale può essere sequestrata dall’ambasciatore del Kazakistan, su mandato del Presidente Dittatore del suo Paese. Che i dirigenti delle forze di sicurezza prendono ordini da chicchessia, che il Governo non governa ed è irresponsabile dei crimini commessi da suoi funzionari.
Corriere della Sera: “Vertici della polizia in bilico”. La Stampa: “Ultimatum Pd a Letta, “chiarezza o il Pd si sfila”. Il Giornale: “Piano per far cadere Letta”. Repubblica: “Bufera su Alfano, PDL in trincea”. Il Fatto: “Il Pd ingoia anche Alfano. Renzi, così Letta non dura”. Gli editoriali. Massimo Franco: “Il ministro rischia, il Governo pure”. Repubblica, senza firma. “Se il ministro sapeva, deve dimettersi perché responsabile di tutto. Se non sapeva, deve dimettersi perché irresponsabile di tutto”. Sallusti sul Giornale: “Per questo dovrebbe cadere il governo italiano? Non scherziamo, sono kazaki loro, non nostri”. Il Giornale in difesa di Letta, costi quel che costi. Il PDL all’attacco di chi, in casa Pd, (Renzi?) starebbe complottando. Non sanno cosa fare.
Al netto del giudizio, ovvio, sulla fragilità del patto Pd-PDL, che cosa ha detto Matteo Renzi, ieri, nel suo tour alla conquista dell’Emilia post bersaniana? Ha detto che vuole vincere. Prendersi il partito, anche se sulla candidatura deciderà a settembre, per conquistare Palazzo Chigi. Contro Berlusconi! Che “in vent’anni non ha fatto niente e utilizza la Merkel come ennesimo alibi per giustificare quel che non ha fatto”. Renzi con la Merkel, c’è andato a Parlare. Come D’Alema con Kohl – dice qualcuno – prima di diventare Presidente del Consiglio. “È una barzelletta che Letta non sapesse del mio viaggio”, dice il Sindaco di Firenze, che sta bene attento a non schierarsi sui temi del rigore a ogni costo di cui Angela resta fautrice. Quanto al Pd, Renzi vuole che non sia ostaggio delle correnti e “che discuta dei problemi veri”. Naturalmente, chiede primarie aperte. Il più possibile.
Che cosa accadrà oggi? Questa mattina in Senato votiamo sugli F35. Io appoggerò la mozione Casson, che chiede la sospensione degli acquisti. Così facendo, Casson il sottoscritto e non so quanti altri, non ci adegueremo al voto di giovedì scorso, in seno al gruppo Pd. In quella occasione il timore che il governo potesse cadere (perché la sentenza di Cassazione su Berlusconi era stata anticipata e i vari Brunetta stavano facendo fuoco e fiamme), quel timore aveva spezzato il dibattito e convinto la maggioranza dei Senatori che non ci si potesse discostare dal testo Pd-PDL approvato alla Camera. Ma il giorno dopo, 70 senatori del Pd, dunque la maggioranza, avevano espresso il loro malessere per una scelta, quella della pausa dei lavori parlamentari concessa al PDL, gestita male dal vertice del Partito e segnata, appunto, dalla preoccupazione che si aprisse la crisi. Per la verità i 70 avevano anche criticato personalismi e protagonismi di chi, nel Pd, fa prevalere le ragioni dello scontro interno a un minimo di solidarietà di partito. Voto, dunque, molto delicato, quello che mi accingo a dare. E tuttavia sono profondamente convinto che serva al Pd. Dopo il pronunciamento del Consiglio Supremo della Difesa, che suona come critica alla stessa mozione Pd-PDL della Camera, non si può far finta che nulla sia successo. E niente fa più male al Pd che stringersi nelle spalle e ingoiare rospi. Nulla è tatticamente più sbagliato che lasciare le opposizioni, M5S e SEL, sole e ai margini, perché il Pd, comunque, si sente in dovere di votare insieme al PDL.
Calderoli. Ieri tutti i senatori del Pd ne hanno chiesto le dimissioni, oggi saranno consegnate a Grasso 100mila firme raccolte in rete con lo stesso obiettivo. Ma nessuno può obbligare il vice presidente di una delle assemblee parlamentari a lasciare. Perciò avevo proposto un gesto diverso, quello di lasciare l’aula, in silenzio, la prima volta che il leghista fosse stato chiamato a presiederla. Un gesto che avrebbe messo lo stesso Calderoli, meglio, davanti alle responsabilità per quel che aveva detto. Il razzismo è una brutta bestia. Può prenderti a tua insaputa. Se non si combatte una battaglia continua, politica e culturale. Le fiammate di (sacrosanta) indignazione servono, ma poi purtroppo scemano.
Infine, il Sole24Ore. Ha fatto i conti: dal 70 il prelievo fiscale per le autonomie è aumentato in Italia di 30 volte. “Regioni, un prelievo da 138 miliardi”, dice il titolo in prima. Le regioni sono state create a imitazione di quelle a Statuto Speciale, non come un’articolazione del potere centrale, ma come una sorta di risarcimento per il fatto che ci fosse questo potere centrale. Poi gli è stata conferita la gestione della Sanità e sono diventate centri di potere, tappe nella carriera per ogni “professionista della politica”, luogo di saldatura tra interessi economici e partiti politici. Gli scandali, il proliferare dei Fiorito, sono, a ben vedere, conseguenza di una scelta non federale, della giustapposizione allo Stato Centrale di un gemello siamese regionale. Un disastro. Se, dall’inizio, si fossero abolite province e prefetture. Se ai Consigli Regionali fosse stato chiesto di controllare le scelte del Parlamento e del Governo e non di aggiungere norme a norme. Se avessero avuto il controllo e non la gestione della sanità pubblica, forse non saremmo a questo punto. Comunque la pensiate, lo Stato Italiano ha bisogno di una riforma radicale. Il difficile è che i partiti vivono in simbiosi con questo Stato e vivono di questo Stato. Ne sono un’articolazione impropria. Lo occupano e ne sono ostaggio.