Prima l’invito a uno stupro, poi il paragone con un orango e il lancio di banane per arrivare ai manichini insanguinati. È il volto italiano del razzismo, una dimensione che pensavamo non ci appartenesse, nonostante la legge sulla clandestinità e i respingimenti dei migranti verso le prigioni libiche. Credevamo di esserne immuni, che il luogo comune “italiani brava gente” fosse vero, che in fondo lo sfruttamento della manodopera nera al nero nei campi di pomodoro di aranci del sud fosse normale in un paese di evasori, che le proteste per le troppe presenze di bambini stranieri nelle classi dei nostri figli fossero giuste, che le non-prigioni chiamate CIE per i non detenuti tutti extracomunitari, cioè neri, fossero sì indecenti ma necessarie.
Credevamo. Ma è bastato che uno di loro, un nero e per di più donna, raggiungesse un posto di potere e di responsabilità perché il castello di carta crollasse. Sono partiti gli insulti, le minacce, le offese, gli inviti alla violenza. Visto che come donna non sa stare al suo posto va stuprata, così impara. In fondo viene dal Congo dove si combatte una guerra a colpi di stupri di massa per distruggere la società civile, le famiglie, la stima di sé, l’amore per i figli. Visto che è una nera torni nella foresta a mangiare banane e lasci a noi bianchi il compito di governare e comandare.
La maschera del buonismo è caduta. Siamo arrivati ai manichini insanguinati. Cécile Kienge, la donna nera chiamata a governare il suo e nostro paese insieme agli altri ministri, va avanti e continua a dire che ad essere offesa, insultata, minacciata non è lei ma siamo tutti noi italiani, bianchi e neri, uomini e donne. Ed è vero. Il razzismo e il sessismo esplosi violenti in questi mesi vanno fermati. Dalle istituzioni e dai cittadini insieme. I valori della solidarietà, del vivere comune, della legalità, dell’uguaglianza, dei diritti, dei doveri, della
responsabilità, dei beni comuni, del rispetto, della ricchezza delle differenze devono tornare ad avere piena cittadinanza nel nostro paese. Vanno trasmessi ai giovani, devono trovare espressione nelle leggi, vanno vissuti ogni giorno come succede a Lampedusa dove l’accoglienza è parte della loro vita.
A insegnarcelo con forza oggi è la ministra Cécile Kienge, italiana di origine congolese, donna e nera. E mentre noi discutiamo di razzismo e di sessismo, il cimitero liquido del mare
mediterraneo ha accolto altri 31 corpi di neri venuti a rubarci il lavoro, le donne, le case e ora anche i ministeri.