Le politiche di contenimento della spesa pubblica imposte dall’Europa delle banche stanno determinando un progressivo arretramento dell’impegno dello Stato su diversi campi strategici di intervento per il Paese, causando un sostanziale smantellamento dello stato sociale ed un pericoloso abbandono di istituzioni nevralgiche come quelle destinate alla formazione e alla ricerca. Ci preme in particolare soffermarci su quanto sta accadendo al sistema degli Enti Pubblici, un settore in continuo regresso, paralizzato dalle politiche dei tagli (reiterato blocco del turn-over, taglio delle piante organiche, decurtazione fondi ordinari e dei finanziamenti di ricerca, etc.) che impediscono qualsiasi ricambio generazionale e ipotesi di sviluppo. Tutto ciò causa una sostanziale asfissia del sistema che per sua natura avrebbe invece bisogno di tutt’altra dinamica. In questo modo si sta buttando a mare un vero e proprio patrimonio per il Paese in termini di competenze, di expertise, di tecnologia, di sapere. Si stanno inoltre condannando intere generazioni di ricercatori e di tecnici specializzati alla precarietà a vita o a cambiare mestiere; un patrimonio in termini di conoscenza e professionalità, invece, appetito e ricercato negli altri paesi. Le recenti ipotesi di riordino degli EPR, dalla tentata riforma dell’ex Ministro Profumo in poi, che mirano prima ad un drastico ridimensionamento del sistema e poi alla consegna tout court all’industria del pezzo più ambito perché più utile al business (il cosiddetto super-CNR), certamente non rassicurano gli operatori di questo settore e chi ne ha a cuore le sorti. L’innaturale divisione tra Enti vigilati dal MIUR, il super-CNR appunto, ed Enti vigilati da altri Ministeri, che in molti vorrebbero trasformati in agenzie, indebolisce anziché rafforzare il ruolo di produzione scientifica del sistema. Come Organizzazione Sindacale siamo convinti che sia necessaria un’urgente inversione di marcia che restituisca al Paese, con un piccolo sforzo, una grandissima risorsa. Non confidiamo in un Governo che – alla stregua di quello che lo ha preceduto – mostra più attenzione nel non irritare i banchieri europei piuttosto che fare il bene del Paese. Tanto meno riteniamo che i Presidenti degli Enti possano ora giocare un ruolo fondamentale, impegnati più a difendere domini che i principi e l’utilità sociale del sistema di ricerca pubblica. Riteniamo pertanto che il Parlamento si debba fare interprete delle istanze che provengono da tutti i lavoratori del comparto, che – senza falsa modestia – sono certi di interpretare anche la volontà di milioni di cittadini che guardano sempre con grande speranza a quanto la Ricerca può mettere a disposizione del Paese in termini di sviluppo tecnologico, salute, salvaguardia dell’ambiente, energia, etc. USB ha individuato il Parlamento come unico interlocutore possibile al quale spiegare e far comprendere come è e come deve essere la Ricerca Pubblica, senza pregiudizi e senza ingiustificati protezionismi. USB non difende il sistema così com’è, ma ne difende il suo fondamento, la natura pubblica e la sua funzione sociale. USB vuole ‘riavvolgere’ il sistema e ri-dispiegarlo. Questi i punti dirimenti sui quali misurare la reale volontà di valorizzare un patrimonio a rischio di estinzione quale è quello della ricerca pubblica: Sblocco totale del turn-over Superamento delle piante organiche Stabilizzazione di tutti i precari Aumento degli stanziamenti ordinari Politica Fiscale di favore per cancellare le discriminazioni rispetto la ricerca privata Rafforzamento delle figure professionali (ricercatori, tecnologi, tecnici di laboratorio e amministrativi) attraverso il contratto nazionale EPR Sistema di governance. I primi tre punti, stabilizzazione, piante organiche e turn over, collegati tra loro, sono quelli che dovrebbero garantire un ricambio generazionale indispensabile alla rivitalizzazione della Ricerca Pubblica. Inoltre si offrirebbe una prospettiva a chi per necessità abbandona qualsiasi velleità di lavoro nel sistema della ricerca pubblica, oppure si rivolge altrove, sia esso l’estero o l’industria. Generalmente si attribuisce un valore negativo alla cosiddetta rigidità del contratto a tempo indeterminato, richiamando una presunta flessibilità indispensabile alla ricerca. Siamo convinti che chi sostiene questo argomento conosca poco il mondo della ricerca, perché la conoscenza e la produzione dei saperi si basano anche sull’acquisizione e la sedimentazione di esperienze, non solo professionali, per cui non serve l’insicurezza del posto di lavoro, ma una maggiore agilità per chi ci lavora, nel senso di una maggiore possibilità di collaborazione tra e nei gruppi di ricerca, di una più facile riconversione, della possibilità di piegare l’organizzazione degli Enti alle nuove esigenze che si creano di volta in volta. Ad esempio la rigidità delle piante organiche non è per nulla confacente alla flessibilità organizzativa, questa si, necessaria ad un sistema dinamico come quello della Ricerca pubblica. In sintesi potremmo dire che quello che serve è un lavoro sicuro in un sistema flessibile. La necessità di maggiori stanziamenti è ineludibile, sia perché molti Enti sono vicini al collasso, sia perché chi sopravvive lo fa essenzialmente consegnandosi nelle mani dei privati, rinunciando quindi al ruolo prioritario di servizio alla collettività, proprio della Ricerca pubblica che individua la “committenza sociale” come unico riferimento. Un ruolo che, se svilito, determinerebbe la compromissione della libertà ed autonomia della ricerca. Infine la governance. Ad oggi siamo in presenza di un sistema misto che genera inaccettabili differenziazioni tra istituzioni ed enti alimentando tentativi di trasformazione di molti enti in agenzie. Come già espresso in un precedente documento, riteniamo che si debba arrivare ad un unico sistema di governance che mantenga comunque un rapporto con alcuni Ministeri attualmente coinvolti (Salute, Ambiente, Sviluppo Economico, etc.), ma con una sola fonte di finanziamento ed un unico riferimento normativo. E che agenzie, università e ricerca pubblica non siano vasi comunicanti ma istituzioni dai ruoli e dal personale differente e differentemente formato. Solo chiarendo i ruoli si crea un sistema completo in grado di assolvere i compiti che gli vengono indicati dalla committenza sociale. Una riforma in questo senso avrebbe un impatto in termini di risorse da investire irrilevante sul bilancio dello Stato ed un ritorno inestimabile sulla qualità della vita e sulle prospettive di sviluppo; è solo una questione di volontà. Siamo convinti che la Ricerca Pubblica non debba mai essere considerata uno spreco, ma piuttosto un ineludibile costo che ripaga nell’immediato e nel futuro in termini di qualità della vita e molto spesso anche in termini economici; un impegno di tutti a vantaggio di tutti. Non farla e/o privatizzarla, significherebbe sacrificare patrimoni inestimabili di conoscenze con la conseguenza di rendere il nostro Paese sempre più dipendente da lobby di potere e questo, certamente, avrebbe dei costi per noi insostenibili sia in termini economici che sociali.
GIOVEDÌ 11 LUGLIO 2013 – ore 9,30 Roma – Sala delle Carte Geografiche, via Napoli 36
Per Articolo21 sarà presente il segretario nazionale Tommaso Fulfaro