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Proteggere gli atti di giornalismo non solo i mezzi di informazione

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Nella discussione su quale dovrebbe essere l’ oggetto della protezione dell’ attività giornalistica si rafforza negli Usa l’ ipotesi di concentrarla sull’ atto di giornalismo e non tanto sugli ‘’addetti ai mezzi di informazione’’, come sostengono invece le nuove linee della politica del Dipartimento della giustizia* nel campo dell’ informazione, oppure sui giornalisti in quanto tali.

Alle voci di Mathew Ingram e Jeff Jarvis, di cui avevamo dato conto qui, si aggiunge ora quella di Marcy Wheel, una esperta di giornalismo, che sul suo  blog  critica l’ impostazione del DOJ americano.

La protezione dell’ atto di giornalismo – scrive in un articolo che vi proponiamo qui di seguito –  potrebbe avere diversi vantaggi rispetto all’ ipotesi di una protezione dei ‘’mezzi di informazione”  in generale.  In primo luogo, puntando sulla protezione dell’ atto di giornalismo, si includono quei giornalisti indipendenti che sono indiscutibilmente impegnati nel giornalismo (superando la questione dei blogger di cui ho parlato, ma anche di coloro che lavorano in modo indipendente su progetti di libri e potenzialmente – anche se questo sarebbe una questione su cui ci sarebbe ancora molto da discutere – a editori come WikiLeaks), ma nello stesso tempo si escludono quei personaggi dell’ informazione che sono impegnati nel mondo dello spettacolo, della propaganda aziendale o della disinformazione governativa.

Ma proteggere l’atto di giornalismo piuttosto che i “mezzi di informazione” – aggiunge Wheel – dovrebbe anche servire ad escludere un altro gruppo che dovrebbe avere una protezione limitata. Nella definizione del DOJ infatti sono inclusi non solo i giornalisti che lavorano per i mezzi di informazione, ma anche i manager… Continua a leggere su lsdi.it


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