Perché Riina parla

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Perché proprio ora, vent’anni dopo aver scontato i numerosi ergastoli a cui è stato condannato con le dure modalità dell’articolo 41 bis, Salvatore Riina, recluso nella prigione di Opera a Milano, parla con due agenti penitenziari e si pronuncia inaspettatamente sulle  trattative tra  Mafia e Stato del 1992-93. E’ difficile non chiederselo se si ha un’idea del peso che Totò o’ curtu ha avuto nella storia recente di Cosa Nostra.

Legato dall’adolescenza al concittadino corleonese Luciano Liggio, Riina ha avuto alle spalle in un primo tempo una lunga stagione di delitti in carcere e fuori. Entrato nel triunvirato di comando di Cosa Nostra dopo Liggio con Bontade e Badalamenti (con i quali ha avuto frequenti contrasti)  è stato altresì capace di avere buoni rapporti di collaborazione con il capo ‘ndranghetista  Mirco Tripodo e con i capi della camorra napoletana della famiglia Nuvoletta.

Successore dal 1974 – dopo l’arresto  di Liggio – della cosca di Corleone è stato – per più di vent’anni – latitante nelle campagne intorno a Palermo e, negli ultimi colloqui con gli agenti a fine maggio,  ha confessato di non aver avuto problemi a sfuggire all’arresto “visto  che nessuno mi cercava” ed ha voluto intervenire nel processo di Palermo sulle trattative di cui ha seguito le prime udienze dal carcere in videoconferenza per far sapere ai magistrati, come ai giornalisti e a quella parte di opinione pubblica che segue le vicende di mafia (non sappiamo quanti siano, naturalmente), che  lui ricorda perfettamente le trattative tra mafia e stato del ’92-93 e che la testimonianza di Massimo Ciancimino è attendibile. Riina ha aggiunto che il suo arresto del gennaio 1993 è stato provocato dalle delazioni di Provenzano e di  Ciancimino e soprattutto – ed  è l’elemento che ha colpito di più i giornalisti e gli osservatori stranieri – che è stato lo Stato (o meglio chi lo ha rappresentato) a cercare Cosa Nostra per arrivare a un accordo. Ora, di fronte alla rappresentazione che Cosa Nostra fa di quelle trattative, c’è  da chiedersi che senso ha l’improvvisa loquacità del mafioso Riina e devo dire che il commento del direttore del carcere di Opera Giacinto Siciliano, che parla di un comportamento riconducibile “a un deterioramento cognitivo dovuto all’età” appare davvero anomalo e poco convincente.  Riina – è vero – ha compiuto 82 anni ma i due agenti penitenziari, come l’ex pubblico ministero Antonio Ingroia, escludono che il mafioso stia male o confonda fatti e date.

La verità è invece che l’ex capo di Cosa Nostra ha scelto con precisione il momento in cui parlare e far le sue parziali rivelazioni (ad esempio, nega la circostanza del papello che è, al contrario,  una delle prove documentali acquisite dal processo) giacchè il prossimo lunedì 4 luglio ci sarà la decisione sulla competenza del tribunale di Palermo e Riina con le sue rivelazioni fa sapere che non vuole essere escluso dal dibattimento e che ha cose importanti da dire.

Insomma non c’è dubbio che ci troviamo di fronte a uno dei momenti cruciali di una vicenda che è stata a lungo negata e deformata ma che ha un significato importante nel lungo  periodo  di coabitazione tra lo Stato e le associazioni mafiose del nostro paese e che non più essere negato o messo da parte, pena l’impossibilità di uscire da quella stagione e di rinnovare  i gruppi e le classi dirigenti che ci governano.


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