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Per combattere la camorra è necessaria consapevolezza e redditività. Il giudice Raffaelo Magi e il suo impegno quotidiano

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A Pugliano, fraz. di Teano, in prov. di Caserta, una delle prime tappe del Festival dell’Impegno Civile 2013. Ospite della manifestazione: Raffaello Magi, giudice di Cassazione e relatore della sentenza del processo Spartacus.

Su un frutteto confiscato al clan Magliulo di Afragola, dove sorge anche un piccolo campetto di calcio, si è svolta la terza tappa del Festival dell’Impegno Civile, organizzato da Libera e dal Comitato Don Peppe Diana che è giunto, ormai, alla sua sesta edizione. La particolarità del Festival – oltre, inevitabilmente, alle tematiche affrontate – è il contesto, o meglio, le location: è infatti l’unica rassegna in Italia interamente realizzata sui beni confiscati alla camorra. Raffaello Magi è il giudice estensore che ha emesso il verdetto di primo grado del Processo Spartacus. 3187 pagine, 550 faldoni, 95 condanne di cui 21 ergastoli, per far luce sulle responsabilità del clan camorristico dei Casalesi. Nel 2010 si è concluso anche il processo in Cassazione, ora le condanne sono definitive, e una parte considerevole dei vertici del clan è stata assicurata alla giustizia ma come sottolineato dallo stesso magistrato: arrivare a sentenza significa concludere un iter ma non sconfiggere un sistema.

«Il primo caso di cui mi sono occupato era l’omicidio di Franco Imposimato, inquisito e poi condannato Vincenzo Lubrano, […] avevo solo cinque anni di servizio quando fu arrestato Bidognetti […], oggi è difficile accettare di ritrovarmi a processare i figlio, i nipoti e/o i cugini di quelli che avevamo già processato e condannato». Con l’azione della magistratura e delle forze dell’ordine «incidi» fino ad un certo punto, è poi necessario lavorare sul contesto. «Se oggi siamo qui – con un Festival che si pone temi quali l’impegno civile e la legalità – vuol dire che grossi passi in avanti sono stati fatti non solo per ciò che concerne la repressione del crimine organizzato, ma anche e soprattutto in termini di presa di coscienza e consapevolezza: è necessario conoscere i fatti. Bisogna però incidere sul contesto in cui fatti e crimini hanno avuto luogo, perché non bisogna dimenticare che la struttura economica delle realtà criminali è sempre in attivo. Confiscare un bene rischia di essere un atto fine a se stesso se poi non c’è una risposta in termini propositivi. Riutilizzare il bene confiscato è il completamento del ciclo della legalità».

Terreni e strutture abbandonate dopo la confisca rappresentano una piccola sconfitta; è necessaria tempestività e presa di coscienza politica in termini di riutilizzo dei beni confiscati alla criminalità per sfaldare il mito che la camorra da lavoro ove lo Stato è assente. Queste sono le problematiche che si trovano ad affrontare ogni giorno persone – come Ciro Corona di (R)esistenza anticamorra di Scampia, Simmaco Perillo della Coop. Aldilà dei sogni e Roberto Fiorillo che lavora proprio sui pescheti confiscati al clan Magliulo – che non vogliono cadere nella provocazione di chi potrebbe loro dire: prima lì faticavano cinque persone, e cinque famiglie mangiavano e mo’?

E ora ci sono almeno cinque lavoratori agricoli stagionali e/o fissi e l’indotto resta sul territorio. Come sottolineato dallo stesso Magi è necessario entrare nella logica della produzione alternativa, se l’assistenzialismo si è rivelato necessario nel primo periodo di entrata in vigore della legge 109 del 1996 – sul riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie – è oggi necessario l’autosostentamento e la capacità di produrre ricchezza sul territorio attraverso un’economia alternativa e propositiva. La mafia non crea lavoro, la mafia – come diceva Peppino Impastato – è solo una montagna di merda.


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