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L’Italia, a sua insaputa. Il caffè di domenica 14 luglio

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Alma e Alua, chi sapeva? Chi, deliberatamente, ha consegnato una donna e una bambina al Kazakistan e al suo dittatore-presidente unto dal petrolio? “Ombre su Alfano” titola Repubblica: “al Viminale incontri e telefonate per il sequestro della Shalabayeva”. “Alfano, cadranno molte teste”, risponde La Stampa. Secondo il giornale torinese, il ministro dell’interno sarebbe stato tenuto all’oscuro, e dunque sarebbe stato ingannato, dai suoi più stretti collaboratori. “Il ruolo del capo gabinetto del ministro Alfano” Il Corriere della Sera fa il nome del prefetto Procaccini. Fu contattato dai diplomatici kazaki già la sera del 27 maggio. Non disse niente, tradì il rapporto fiduciario con il ministro dell’interno, del quale era il più stretto collaboratore? Possibile, sostiene Emma Bonino. “Letta e Angiolino li ho avvertiti io il 2 giugno, dovete capire cosa è successo, perché lo scandalo sarà grande”. Il 2 giugno. La sera del 28 il blitz, il 29 e il 30 giro di fax tra Farnesina, Viminale, Questura e Tribunale. La mattina del primo giugno, Alma e Alua, costrette a salire sul jet privato che attende a Ciampino.

Liberi di non credere ad Alfano, alla Bonino e a Letta. Ma se quello che dicono fosse vero, se tutto si fosse svolto a insaputa del Governo e dei suoi Ministri, la vergogna e lo sconcerto e lo sdegno non dovrebbero essere minori. Vorrebbe dire che lo Stato ha ormai inserito il pilota automatico. Che “la politica” non solo non governa ma non viene neppure informata. E quando si accorge del guaio, distoglie la testa: nel caso di Alma e Alua, con un silenzio lungo un mese. Se così fosse “il governo di necessità” risponderebbe solo alla necessità di far finta di essere al governo. In attesa del semestre italiano, delle riforme costituzionali, di miracoli sempre più improbabili.

Intanto (leggo da Federico Fubini, passato a Repubblica dal Corriere) il debito totale ha raggiunto il 400 per cento del Prodotto Interno Lordo. Insomma, se sommiamo al debito dello Stato quello delle famiglie, delle banche e delle imprese arriviamo a una cifra 4 volte superiore alla ricchezza che produciamo in un anno. Ricordo che quando siamo entrati nell’euro Romano Prodi poté vantarsi che l’Italia fosse sì indebitata, ma in gran parte con gli Italiani. Lo stato spendeva a buffo, ma i cittadini, le banche e le imprese avevano importanti riserve di capitale. Non è più così. Ricordo che nel 2006, ultimo anno del mio (breve) soggiorno americano, molti economisti mi spiegarono perché sarebbe scoppiata la grande crisi (del 2008). Perché – dissero – al debito federale si sommava in America, quello delle partite correnti e quello delle famiglie. Così la bolla scoppia. Per induzione, direi che l’Italia è sull’orlo del fallimento. E lo scambio di battute tra Monti ed Epifani a proposito della “polvere” che Letta avrebbe trovato “sotto il tappeto” del governo precedente, fa allargare le braccia.

E’ così! Italia senza governo. Italia senza politica. Italia che va avanti come la Costa Concordia, dopo che l’impatto con il Giglio gli aveva bloccato motori e timone. Si spiega che sia così. Venti anni fa ci dividemmo in tre campi. Il primo, quello dei “progressisti” era convinto di aver ereditato, dalla storia e dalle lotte del Partito Comunista, un’egemonia morale. Puntava a vincere le elezioni, grazie a una legge elettorale maggioritaria, per poter esercitare questa presunta egemonia, che era stata in verità il portato di una singolarissima e irripetibile congiuntura storica. Il secondo, post democristiano, non aveva capito che dalla morte di Moro al CAf, le sue radici si erano del tutto essiccate: sarebbe stato presto stritolato. Il terzo, guidato da un uomo nuovo, si proponeva di liberare gli istinti animali del ceto medio-alto, costretto per quasi mezzo secolo dalla DC a confessarsi, dopo aver peccato, e a battersi il petto per via del pericolo comunista. Ora potete arricchirvi, abbiate orgoglio di voi. Diceva Berlusconi. È questo, il bene comune.

Per venti anni nessuno ha provato a rendere più efficiente la pubblica amministrazione, a leggere le trasformazioni sociali importanti che si andavano realizzando, a scegliere tra interessi compatibili con una qualche idea del futuro e interessi corporativi (rendita improduttiva, si sarebbe detto un tempo). Per vent’anni la complessità dei problemi da affrontare è stata ridotta alla rappresentazione televisiva di un bipolarismo inesistente. Le colpe del non governo scaricate sulla Costituzione. Le ragioni dell’egemonia berlusconiana ridotte a questione di marketing. Venti anni sono lunghi. E ora che la crisi è scoppiate, i margini su cui operare ristrettissimi, chi governa non sa muovere la pubblica amministrazione (e neppure la polizia di stato a quanto pare), non può entrare nelle competenze di Regioni ed enti locali (siamo o no federali?), una gran parte del “potere” l’ha devoluta alla BCE, alle vestali del pareggio di bilancio che siedono a Bruxelles, alla Germania che deve essere ripagata per aver accettato di condividere la sua moneta.

L’Italia è un paese che si governa a sua insaputa. E lo stesso rischio corre il Pd. Nell’omelia domenicale Scalfari chiama “fazioni e non correnti” quelle interne al partito. La verità è che queste “cose”, non importa come le chiamiate, hanno uomini in ogni “territorio” e funzionano bene anche senza leader e senza idee. Se un parlamentare o un giovane studente vuol contare qualcosa deve stare in una di queste “cose”. E la “cosa” lo sostiene a prescindere delle idee. Il meccanismo funziona: puoi diventare presidente di commissione, capo gruppo, ministro dei rapporti con il parlamento, segretario traghettatore. Naturalmente l’asino casca quando il vertice deve scegliere e dunque interpretare il mandato ricevuto, e farlo in tempi brevi, leggendo i rapporti di forza e piegandoli a favore dell’idea che il Partito vuol sostenere. Chi candidare al Quirinale e perché? Come respingere i ricatti di Brunetta senza mettere a rischio la poltrona dell’amico Letta? O come sfruttare la piccola apertura, giusto una fessura, al dialogo fatta intravedere dal capo gruppo al senato dei 5Stelle? Vedete, quando Speranza dice “abbiamo fatto una scelta (con le larghe intese) e sottintende che ora “non si torna indietro”, beh questa è la dimostrazione di come la politica si faccia da sé. È successo (che non abbiamo saputo dar vita a un governo “del cambiamento” e siamo finiti a Palazzo Chigi con Alfano), dunque doveva accadere. I 101 da incidente della storia a lievito di una nuova politica. A nostra insaputa. Ora Epifani, Zanda e Speranza sostengono che “non sappiamo comunicare”. No. Non abbiamo una politica da comunicare. Non siamo “soggetto”, non perché Civati guardi troppi tweet, o perché Mineo è un rompi balle. Non l’abbiamo perché da venti anni non scegliamo. Preferiamo galleggiare sulla complessità in attesa di ereditare le chiavi della macchina. Ma poi quando le abbiamo in mano, quelle chiavi, ci accorgiamo che la macchina non parte, forse è ingolfata, chissà. E il Partito delle “cose, correnti o fazioni che dir si voglia”, si è così modellato sullo Stato arcaico da non poterlo cambiare, sì è abituato così bene a rappresentare “i territori” da non saper scegliere tra chi ha ragione e chi no. Dunque va dove lo porta il corso della crisi, dello Stato e della Società. A sua insaputa.

Eppure il Pd c’è. E’ l’unica cosa che ancora si incontri in giro per l’Italia. A Montebelluna con Elly Schlein di OccupyPd e Laura Puppato, A Livorno con Barca, a Reggio Emilia con Civati, e altrove con Cuperlo e Tocci, con tante persone per bene che propongono analisi severe degli errori e delle responsabilità, ma che tuttavia pensano che il Pd sia ancora “il luogo” dove provarci. Certo, bisogna reinventare una capacità di leggere la realtà del momento e di far politica. Perché questo si è perso. Perciò sembriamo una barca tra venti e correnti. Pare Matteo Renzi abbia fatto tesoro del consiglio di Massimo D’Alema. Giovedì ha visto la Merkel, andrà a Parigi e a Londra. Manzoni lavava i panni in Arno. Il sindaco di Firenze prova, in Europa. Vedremo.

da corradinomineo.it


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