VERSO IL CONVEGNO DEL 2 LUGLIO AL CNEL (Art.21/Fondazione Di Vittorio) – La “soluzione greca” ha trovato, nell’Italia politico-editoriale, un buon numero di tifosi. La brutale decisione di liquidare la tv pubblica di Atene è diventata di colpo un modello da seguire anche per chi in questi anni si era affannato a spiegare che “l’Italia non è la Grecia” e che la nostra economia non corre quegli stessi rischi. L’ennesima conferma – ma non ce n’era bisogno – che i sostenitori del servizio pubblico commetterebbero un drammatico errore se puntassero ad una quieta prosecuzione della situazione attuale. Nel momento in cui persino la Costituzione viene rimessa in discussione e si cerca di cancellare la Repubblica parlamentare, figuriamoci se non possa essere presa in considerazione l’idea di fare a meno (e di spartirsi le spoglie) della Rai.
Per questo giunge straordinariamente opportuna l’iniziativa promossa da Articolo 21 e Fondazione Di Vittorio. Nessuna remissività, nessuna timidezza. Il discorso sul futuro della Rai lo lanciamo noi: sapendo che sul tappeto ci sono anche le ipotesi più estreme, ma dicendo anche che le decisioni sul servizio pubblico vanno prese fuori dal circuito ristretto e asfittico dei soggetti segnati dai conflitti di interesse (i conflitti, al plurale: va ricordato una volta di più, nell’Italia in cui – vedi la vicenda Fiat/Rcs – non solo a Berlusconi bisogna pensare quando si nominano eccessi di concentrazione proprietaria).
La strada di un coinvolgimento largo dell’opinione pubblica da qui al 2016 è felicemente obbligata per coloro che hanno a cuore il rilancio della Rai. Bisognerà mettere in conto le ironie di chi alla partecipazione dei cittadini guarda con aristocratica sufficienza (penso alle stesse reazioni, scettiche e “realistiche”, che hanno suscitato in questi anni le proposte di riforma dei criteri di nomina Rai che ipotizzavano il coinvolgimento di associazionismo e forze delle cultura). Ci si dovrà preparare anche all’ascolto di punti di vista duramente critici (un po’ perché la Rai si è data da fare non poco per meritarli, con censure e omologazioni che segnano ancora oggi i suoi palinsesti; un po’ perché la “semina” di un sentimento ostile a tutto ciò che è pubblico è stata in questi trenta anni metodica, costante). Ma non c’è altro modo, se la Rai vuole riprendersi a pieno la sua legittimazione popolare: che è cosa diversa, ben più profonda e preziosa, dalla benevolenza del governo di turno. Il servizio pubblico decide di giocare la partita della sua sopravvivenza in campo aperto, senza contare sui favori e gli appoggi di un tempo che non c’è più, ma scommettendo sulla forza del rapporto che in questi anni, nonostante tutto e nonostante le sue carenze, ha saputo mantenere con la società italiana. E lo deve fare servendosi di tutti gli strumenti oggi disponibili per ascoltare il Paese: in questa campagna d’ascolto la rete deve avere un ruolo essenziale, assieme al coinvolgimento delle rappresentanze sociali organizzate, per acquisire anche il punto di vista dei singoli cittadini. La Rai deve “connettersi” con loro, in vari sensi.
Del resto, non diciamo forse in molti, quando si parla di riforme costituzionali, che si dovrà passare obbligatoriamente per l’ascolto dei cittadini (anche quando dovesse esserci in Parlamento una larga maggioranza a favore della riscrittura)? Ecco, quella parte della Costituzione materiale dell’Italia rappresentata dalla Rai la dobbiamo riscrivere così, in un rapporto stretto con i molti milioni di azionisti di riferimento, che hanno diritto di parola e di voto sul riassetto del servizio pubblico. E’ una sfida ad alto rischio, ma non la definirei un azzardo. Penso a un dato che in troppi hanno voluto rimuovere dal dibattito pubblico, nonostante la clamorosa evidenza di quei numeri: penso ai 27 milioni di cittadini che, appena due anni fa, avevano detto coi referendum di credere che esistano beni e valori da non piegare alla logica del mercato. Credo che quell’Italia sia disposta a dire la sua anche su una profonda riforma della Rai.