Nella stessa giornata due notizie hanno tolto il fiato a quelli che Francesco chiama “i cristiani da salotto”. L’annuncio a sorpresa del viaggio a Lampedusa e il terremoto allo Ior, con le dimissioni del direttore generale. Notizie che, entrambe, danno la misura della determinazione di papa Bergoglio; del suo modo di vivere il cristianesimo, della riforma profonda che sta attuando nella Chiesa cattolica. Sono state le immagini dell’ultimo naufragio di un’imbarcazione di migranti africani, il 16 giugno, con quel disperato tentativo di aggrapparsi alle gabbie dei pescatori di tonno, a “toccare” Francesco, convincendolo ad accettare l’invito che gli aveva rivolto, subito dopo l’elezione, il parroco di Lampedusa. Tragedie a cui l’opinione pubblica italiana pare aver fatto il callo. Come se la vita di quei disperati senza nome, in fuga da guerre, persecuzioni e fame, in fin dei conti valesse meno, molto meno, della nostra. 19mila i clandestini morti dal 1988 a oggi nel tentativo di raggiungere l’Europa.
Un gesto di impeto, quello di Francesco. Mai un papa aveva osato avventurarsi in questa bollente frontiera dell’immigrazione. Motivi di prudenza politica, pure comprensibili. Bergoglio ha scelto invece proprio Lampedusa come meta del primo viaggio del suo pontificato. Getterà una corona di fiori in mare, incontrerà i superstiti, vedrà con i suoi occhi il cimitero di barche che s’ingrossa ogni settimana, si farà un’idea delle condizioni infernali in cui operano i Centri di accoglienza e detenzione, elogerà la solidarietà degli abitanti, lasciati troppo soli dallo Stato, per non parlare dell’indifferenza gelida dell’Europa. Missione senza altri fini che testimoniare, in semplicità, l’amore di Gesù per gli ultimi, “carne di Cristo”, e difendere quindi la loro dignità. Nello stesso giorno in cui veniva ufficializzato il viaggio a Lampedusa, lunedì 1 luglio, la sala stampa vaticana dava notizia del nuovo scossone che investiva il torrione di Niccolò V, storica sede dello Ior. Le dimissioni, “auspicate”, del direttore generale della banca vaticana Paolo Cipriani e del suo vice Massimo Tulli. Sotto l’incalzare, certo, dell’azione della magistratura. Ma anche per una evidente non sintonia con gli orientamenti espressi con molta chiarezza dal nuovo vescovo di Roma. Che vuole vederci chiaro e mettere fine alla lunga stagione di un’opacità finanziaria, all’ombra della quale troppi monsignori maneggioni diventavano tramite di operazioni che nulla hanno a che fare con la carità e con gli stessi scopi per cui nacque l’Istituto per le opere di religione.
Impresa mozzafiato, la riforma dello Ior nel senso della pulizia e della trasparenza. Vi pose mano con coraggio il buon Ratzinger ma occorreva un papa nel pieno delle forze fisiche “e dell’animo” per completare questa ed altre necessarie riforme nel governo centrale della Chiesa.
Chi scrive ha avuto la fortuna di conoscere il cardinale Bergoglio alcuni anni prima della sua elezione. Ora, seguendolo da papa, come giornalista, la cosa più colpisce è proprio la sua determinazione interiore. Come se Dio gli avesse decuplicato le energie. E nello stesso tempo gli donasse una serenità che noi riusciamo solo a sognare. È la Grazia che primerea, per usare un termine a lui caro, la grazia che viene prima e primeggia su tutto. Francesco va dritto per la sua strada, senza accettare di essere “telecomandato”. Percepisce il clima di nervosismo e resistenza che monta in una parte della Curia romana. Si affatica sì, tra mille impegni e pensieri: compierà 77 anni a dicembre. Ma non si lascia stressare. Anzi il volto appare luminoso, gli occhi rivelano un cuore in pace. E non è una posa. La sua predicazione riformatrice è lontanissima dai toni piagnoni e fondamentalisti di un Savonarola. D’istinto, vicini e lontani, anzi paradossalmente i lontani più dei vicini, lo sentono convincente, vero. Non ha bisogno di essere spiegato. Esegeti e apologisti supercattolici sono rimasti disoccupati perché il suo messaggio arriva chiaro, senza mediazioni. E arriva, ai vicini e ai lontani, nel suo contenuto più semplice e radicale, il vangelo di Gesù Cristo.