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Lampedusa, il gesto di Papa Francesco ricorda, quello del primo Francesco, il santo di Assisi

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L’Enciclica, “Lumen fidei” rimarrà nella storia come l’unica Enciclica a quattro mani, iniziata da un papa che nel frattempo si dimette, e proseguita e conclusa dal suo successore. Rappresenta un importante e fondamentale fusione tra due pensieri, due storie umane religiose differenti, la prima di un teologo e di uno studioso, la seconda di un pastore e di un evangelizzatore. E’ un modello di sintesi mirabile e universale che solo la Chiesa, con tutti i suoi secoli di vita e le sue tante rughe, riesce ancora a offrire. Un esempio per tutti, e soprattutto, per rimanere nel Belpaese, per il governo cosiddetto di larghe intese che non riesce a trovare un accordo, non dico sull’imu o sull’iva, ma nemmeno sulla cancelleria.

Mi si potrebbe obiettare che sto commettendo un errore e un abuso intellettuale confondendo sacro con profano e se ciò avvenisse, risponderei subito da cattolico laico, come mi definisco con buona pace dei perbenisti ideologici, che non so bene cosa sia sacro e cosa sia profano. O meglio, è molto più sacro il viaggio di Papa Francesco a Lampedusa a incontrare i migranti, di mille messe celebrate in tutto il mondo con profluvio di organi, cantori e cerimonie varie che odorano tanto di profano.

Per spiegare il senso del viaggio di Francesco ricordo che la prima suggestione, a quel che si dice, il Papa l’ha avuta quando ha saputo di quei migranti aggrappati, per non affogare, alle gabbie dei tonni. Ma la parola tonno è ambivalente. Quei disperati, il cui obiettivo è approdare nel Belpaese, vengono definiti dai loro aguzzini che li ammassano su barconi vecchi e bucati, facendosi pagare lautamente, “tonni”. “Abbiamo cento tonni…”. I tonni buoni si tengono, quelli avariati si buttano via. “Tonni!”.

Ogni parola ha un senso, nessuna parola viene usata a caso. La lingua è la nostra vita, la nostra storia, è tutto. La parola ci permette di esistere, attraverso la preghiera ci fa rivolgere a Dio, a Yaveh, ad Allah. Analizziamo la parola “tonno”, fatta indossare come una camicia di forza ai disperati che fuggono dalla povertà, dalla violenza, dalle persecuzioni politiche e religiose. Ricordiamoci che noi italiani abbiamo partecipato alla storia dell’immigrazione. Per gran parte del secolo scorso siamo andati con mezzi di fortuna nell’America del Nord, del Sud, in Australia, in Canada. Anche noi eravamo “tonni”?

Il tonno è un pesce che si muove in branco, che viene regolarmente ucciso per la sua carne buona. Applicata all’immigrato, la parola ha un senso orribile, perché l’immigrato si muove in branco, scappa da situazioni tremende e la sua carne è buona come forza lavoro. L’immigrato in realtà, una volta inserito, costa poco, spesso non gli pagano nemmeno i contributi previdenziali e in ogni caso si adatta a ogni genere di lavoro. Carne buona, ma anche carne da macello.
La parola “tonno” è dunque sinonimo di una persecuzione, lunga, inesorabile.

La storia è fatta di grandi gesti. Papa Francesco va ad abbracciare quei “tonni” e il suo abbraccio garantisce loro quella dignità di esseri umani che troppo spesso viene dimenticata. Il gesto di Papa Francesco ricorda, a quasi mille anni di distanza, quello del primo Francesco, il santo di Assisi, che nel 1219 si recò in Terra Santa e mentre i crociati si maciullavano con i musulmani, si presentò al sultano Melek el-Kamel per parlare di pace.

Melek contestò a Francesco l’insegnamento del Vangelo nel quale si proibiva ai cristiani di rendere il male per il male. Secondo tali principi, i cristiani non avrebbero dovuto invadere le terre dei musulmani.
Francesco rispose citando a sua volta il Vangelo nel quale si “ordina” di “strappare l’occhio che scandalizza”. I musulmani, erano cari ai cristiani come quell’occhio. E i cristiani combattevano i musulmani che bestemmiavano il nome di Dio impedendone ai fedeli il culto.

Fu così che Kamel comprese il pensiero di Francesco a proposito della guerra e di chi la stava facendo. Queste due grandi personalità s’intesero a fondo e in quel periodo nacque l’idea di una pace che sostituisse il dialogo alla violenza delle armi.
Alla base della forza dei due Franceschi c’è un concetto che si racchiude in una frase semplice ma di profondo e universale significato. Incontrando i poveri, i diseredati, i cristiani, gli atei, i musulmani, gli ebrei, Francesco di Assisi non disse mai, e così Papa Francesco oggi, come facciamo tutti o quasi tutti: “ciao, come sto?”, ma “ciao, come stai?”.


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