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La gestione dell’acqua: un’opportunità? una sfida? o, per caso, un furto?

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Mentre in Italia la società civile si batte per far rispettare in forma e sostanza i risultati referendari  relativi alla gestione dell’acqua pubblica, scopriamo che ACEA, FederUtility, NCTM, in  bell’accordo con Ambasciata israeliana e WATEC (l’ente israeliano che ha l’obiettivo di sviluppare  investimenti e commercio tra USA e Israele) organizzano a Roma, il prossimo 16 luglio, una  passerella a supporto del progetto di sfruttamento dell’acqua in una logica di puro profitto e, nel caso  israeliano, a servizio di una più profittevole e razionale utilizzazione dell’acqua sottratta ai palestinesi.

In Cisgiordania, ovvero in una parte di quello che andrebbe definito Stato di Palestina – come  riconosciuto dall’Onu del novembre 2012 – Israele controlla la totalità delle acque dolci e circa il  90% delle falde acquifere montane. Tutte appartenenti allo Stato di Palestina, tutte sfruttate dallo  Stato di Israele.  Dalla società civile palestinese arriva anche quest’anno la richiesta ai movimenti europei di  mobilitarsi e far pressione sui propri governi affinché non sostengano Israele nelle sue continue  violazioni, compresa quella di privare il popolo palestinese, tanto a Gaza che in Cisgiordania, della  giusta fruizione dell’acqua potabile.  Nel 2011 la campagna “SETE DI GIUSTIZIA” aveva l’obiettivo di mobilitare le persone di coscienza  perché chiedessero ai loro governi di far pressione su Israele. Ma i governi occidentali sembrarono  sordi. Nell’estate del 2012 la campagna si arricchì di una “sfida”, chiedendo alla società civile  occidentale di provare a vivere in agosto con 24 litri d’acqua per 24 ore. Ma per tutta risposta si  ebbero manifestazioni istituzionali di stima verso il buon uso che Israele sa fare dell’acqua razziata ai  palestinesi.

Quest’anno una trentina di associazioni palestinesi si sono unite in rete per rilanciare la richiesta. Si  rivolgono direttamente ai movimenti europei, i movimenti per l’acqua pubblica in Italia, in  particolare, sanno come quella richiesta va ben oltre la sete palestinese. La cosa risulta  particolarmente evidente se si scopre che tra i sostenitori del progetto israeliano figura il Presidente  dell’ACEA spa, avv. Cremonesi il quale, all’evento del 16 luglio, parlerà di “Sistema idrico  integrato: strategie e investimenti per il futuro” .  Del resto, in un evento che ha per titolo “La gestione dell’acqua: in un mare di sfide e opportunità, un  ponte tra Italia e Israele” e nella cui presentazione Israele viene definito come “un partner di grande  interesse per un’Italia a caccia di stimoli …” perché dovrebbe mancare il presidente ACEA? Tuttavia, anche a voler indossare per un attimo un abito liberista e antireferendario, non è possibile  ignorare cosa è capace di fare Israele del Diritto internazionale, del Diritto umano e universale e non  si può accettare a cuor leggero di farsi partner, e per di più partner-sostenitore, di uno Stato che  deliberatamente asseta e umilia, quando non distrugge e uccide, il popolo indigeno di quella terra.

Accettare questo ruolo va al di là di una scelta politica non condivisibile ma, in ambito democratico,  ipoteticamente rispettabile. Accettare questo ruolo significa essere complici di uno Stato fuori legge  come, appunto, è uno Stato che non rispetta il Diritto internazionale e il Diritto universale. Cosa  possiamo aspettarci, in Italia, dalla società ACEA considerando anche questo generoso contributo? In questi giorni ci è arrivata una lettera, tanto accorata quanto dignitosa, dalla municipalità di Khan  Younis. Una lettera che per oggetto aveva soltanto: “Vi preghiamo di rendere nota la nostra  condizione”. La condizione di Khan Younis, come di tutta la Striscia di Gaza, è quella di chi, vivendo  sotto un assedio – oggi incredibile in termini di diritto, e infatti illegale – non ha accesso all’acqua  (deve comprarla dall’assediante) ed ha un uso di sole poche ore al giorno di elettricità, sempre  secondo i tempi stabiliti dall’assediante. Pertanto, per tutto quel che riguarda ospedali, strutture  pubbliche, fognature e simili, a Gaza si usano i gruppi elettrogeni, i quali vanno alimentati a  carburante, la cui fornitura, già scarsa, proveniva dall’unica crepa nelle maglie dell’assedio,  rappresentata dallo scambio fortunoso con l’Egitto.  La crisi egiziana ha bloccato totalmente le forniture di carburante e l’assedio israeliano, purtroppo,  darà meglio i suoi frutti. Infatti, l’impossibilità di attivare le pompe fognarie a causa del fermo del  carburante fa presagire una situazione di emergenza sanitaria spaventosa.  Immagino che il problema non riguardi l’avv. Cremonesi, né il dr. Drusiani, dirigente della  FederUtility il quale, nell’evento del 16 luglio – che si concluderà con un elegante cocktail su uno  splendido terrazzo romano in via delle Quattro Fontane – parlerà dello “Sviluppo del servizio idrico in  Italia e infrastrutture”. E mentre la società civile palestinese chiede a uomini e donne del mondo di far pressione presso i  propri governi, mentre la Municipalità di Khan Younis, affidandosi a un’ingenua speranza ci chiede di  “far sapere”, in una sala di Roma (e in quanti altri posti non ci è dato sapere) si aprono le braccia a  WATEC Israele2013 preparandosi ad accogliere l’invito a unirsi alla “Missione Economica” che nella  conferenza di ottobre che si terrà a Tel Aviv “metterà in risalto le tecnologie che possono servire  come chiave per uno sfruttamento più efficiente delle risorse naturali (acqua, suolo, energia e  materiali)” intendendo “Riunire i dirigenti aziendali israeliani e internazionali”. Nel 2010, il Consiglio dei Diritti umani dell’ ONU ha dichiarato giuridicamente vincolante il diritto  all’acqua salubre e agli impianti di depurazione: ma Israele non riconosce questi diritti. Cosa possiamo aspettarci, dunque, come cittadine e cittadini italiani, già minacciati di espropriazione  dei risultati refendari sull’acqua pubblica, da questo abbraccio tra Acea, FederUtility e Israele? Non potendo fare altro, il nostro compito non può che essere quello di denunciare questi accordi e la  filosofia che li sottende, sapendo che il loro fallimento sarà un bene per noi e per una buona parte  dell’umanità.

* Associazione Amici della Mezzaluna Rossa Palestinese, onlus


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