È un Felice Casson preoccupato quello che Articolo 21 ha deciso di intervistare per avere un parere “dall’interno” in merito alle spinose vicende che stanno caratterizzando questa rovente estate della politica italiana. Il nodo cruciale, come accade oramai da vent’anni, è il difficile rapporto tra Silvio Berlusconi e la giustizia: un rapporto reso ancora più incandescente dalle numerose sentenze in arrivo e dalla decisione della Cassazione di anticipare al 30 luglio il verdetto sul processo Mediaset sui diritti televisivi. Se la condanna dovesse essere confermata, infatti, oltre ai quattro anni di reclusione (di cui tre, peraltro, coperti da indulto), pioverebbero addosso al Cavaliere ben cinque anni di interdizione dai pubblici uffici, ponendo di fatto termine alla sua carriera politica.
Tuttavia, a dimostrazione dei danni provocati da vent’anni di anomalia berlusconiana, è sul tavolo delle decisioni un’altra questione spinosissima, ossia l’eleggibilità o meno di un soggetto che sia azionista di controllo di imprese concessionarie o licenziatarie dello Stato, in base all’articolo 10 della legge 361 del 30 marzo 1957. Nel caso specifico, ovviamente, stiamo parlando di Berlusconi.
Il suddetto testo recita:
“1. Non sono eleggibili inoltre:
– coloro che in proprio o in qualità di rappresentanti legali di società o di imprese private risultino vincolati con lo Stato per contratti di opere o di somministrazioni, oppure per concessioni o autorizzazioni amministrative di notevole entità economica, che importino l’obbligo di adempimenti specifici, l’osservanza di norme generali o particolari protettive del pubblico interesse, alle quali la concessione o la autorizzazione è sottoposta;
– i rappresentanti, amministratori e dirigenti di società e imprese volte al profitto di privati e sussidiate dallo Stato con sovvenzioni continuative o con garanzia di assegnazioni o di interessi, quando questi sussidi non siano concessi in forza di una legge generale dello Stato;
– i consulenti legali e amministrativi che prestino in modo permanente l’opera loro alle persone, società e imprese di cui ai nn. 1 e 2, vincolate allo Stato nei modi di cui sopra.
2. Dalla ineleggibilità sono esclusi i dirigenti di cooperative e di consorzi di cooperative, iscritte regolarmente nei registri di Prefettura”.
In base a un Ddl presentato circa un mese fa dai senatori del PD Mucchetti e Zanda, sarebbe opportuno adeguare quel testo alla realtà contemporanea, trasformando l’ineleggibilità in incompatibilità, ossia, nel caso specifico, ponendo Berlusconi di fronte a una scelta da compiere entro un anno: o ti tieni Mediaset e le tue aziende e rinunci a qualunque incarico politico o le vendi a soggetti non direttamente a te riconducibili (stando al testo legislativo, dovrebbe cedere “le partecipazioni azionarie a soggetti terzi, senza rapporti azionari o professionali e diversi da coniuge, convivente more uxorio e dai parenti fino al quarto grado e affini fino al secondo grado, nonché a soggetti diversi dagli amministratori delle società”. Dunque, niente “blind trust” (un “blind trust” è una forma di trust costituita allo scopo di separare completamente un soggetto dal proprio patrimonio, al fine di evitare alcune forme di conflitto di interessi, cit. Wikipedia) e impossibilità di vendere ai figli, mantenendo di fatto il controllo sulla proprietà.
Sul punto, Casson prende tempo; d’altra parte è comprensibile, viste le tensioni interne che attraversano da mesi il Partito Democratico. Ci spiega che, “all’inizio, Zanda e Mucchetti avevano chiesto anche a me di firmarlo ma io ho detto loro che si può ragionare sul contenuto ma è sbagliato presentarlo in questo momento perché può diventare un alibi per Berlusconi. Per questo non l’ho firmato e ritengo che vada sistemato, trattandosi di una materia complessa”.
Poi si passa alla decisione, ancora più lacerante, cui sarà chiamato a breve, in qualità di membro della Giunta delle elezioni, e qui il senatore Casson è assai meno diplomatico: “Non riesco a capire per quale motivo se troviamo un odontotecnico che esercita per vent’anni senza avere il titolo lo mettiamo sotto procedimento e non gli facciamo più fare quel mestiere, al pari di un avvocato, di un medico o di un qualunque altro professionista, mentre per Berlusconi questo principio non vale”. Gli chiediamo, infine, un’opinione in merito all’aria che si respira nel gruppo, visibilmente scosso dalle incomprensioni e dai litigi delle ultime ore e qui Casson torna diplomatico, ricorrendo alla sua prudenza da ex magistrato e offrendoci una riflessione tecnicamente impeccabile e politicamente accorta: “Nel gruppo non si è ragionato sulla decisione finale: stiamo ragionando su come procedere nelle varie fasi e finora c’è un accordo di tutti sulle richieste istruttorie che io ho fatto, su come muoverci, e poi alla fine decideremo. Al momento, non c’è nessuna decisione. Il nostro capogruppo Zanda si è già espresso per la non eleggibilità di Berlusconi ma, non essendoci alcuna indicazione da parte del partito, i membri della Giunta ragionano sulle istruttorie e poi vedremo alla fine”.
Entro fine mese, sapremo come andrà a finire. Fin da ora, però, ci auguriamo che le istituzioni non vengano paralizzate e coinvolte ulteriormente dalle vicende personali di uno solo, per giunta sempre lo stesso, che da vent’anni piega le infinite esigenze del Paese ai suoi interessi.