La figura di Francesco che sale sulla scaletta dell’aereo, un po’ claudicante, una borsa ben stretta nella mano, è stata l’ennesima di questi primi mesi di pontificato a descrivere il nuovo stile imposto da Bergoglio: il vescovo di Roma uomo normale che stringe mani familiarmente, abbraccia e saluta tutti, conversa amabilmente, rompe protocolli e se ne va sull’aereo senza tanti orpelli. Eppure a qualcuno la suggestione di questo Papa in partenza avrà suscitato altri sentimenti. Bergoglio il terremotatore della curia, il ‘vendicatore’ annunciato di tutti gli scandali, di decenni di insabbiamenti allo Ior, di coperture e omertà sugli abusi sessuali, delle ostentazioni e della normalità del potere, di una Chiesa carica di pessimismo e di integralismi, delle amicizie inconfessabili con politici impresentabili, è anche il più grosso guaio capitato ai vertici vaticani e alla vasta componente di altri prelati italiani che abitano la curia da molti anni. Colpa loro, hanno raccontato le cronache di tutto il mondo per spiegare come mai il conclave abbia prodotto un’elezione tanto sorprendente.
Qualcuno vicino all’entourage dell’ex arcivescovo di Buenos Aires ci ha sussurrato una previsione in proposito nei giorni scorsi: “il papato resterà fuori dall’Italia ancora a lungo” e la ragione è che proprio gli italiani, con i loro intrighi, la tendenza al ritorno a un passato che sembrava sepolto fatto di lotte intestine, di cordate che si combattono a suo di ricatti e di dossier, sono stati considerati ormai inadeguati per la guida della Chiesa universale, di più: dannosi. Inoltre Bergoglio ha quel carisma immediato, naturale, che sembra diventato un ingrediente indispensabile nelle leadership contemporanee. E allora in questi giorni nei sacri palazzi, al riparo delle folle che riempiono piazza San Pietro, la vecchia guardia che tutti danno ormai sul viale del tramonto, una sorta di ‘Vatican sunset’ con il finale già scritto – i cattivi esiliati o messi ai margini, e la Chiesa dei poveri, del Vangelo che torna al centro delle cose – si sta facendo due conti. Questa volta resistere è più dura.
Ci sono ben due ormai ex segretari di Stato, Bertone e Sodano, con rispettivi e corposi seguiti, che dovranno uscire di scena. Ma i loro uomini? Che ne sarà dei cardinali Calcagno, Versaldi, Sandri, (rispettivamente all’Apsa, importante dicastero economico, alla Prefettura affari economici e alla Congregazione delle chiese orientali) tanto per citare i più noti? Senza contare la vasta schiera dei funzionari in buona misura sconosciuti e una parte dei quali di sicuro onesti, ma altri, probabilmente, assai simili a monsignor Nunzio Scarano, accusato di riciclaggio e oggi agli arresti, che si muoveva ai piani alti dell’Apsa e dello Ior. E che dire dei direttore della ‘banca vaticana’ e del suo vice, Cipriani e Tulli, uomini che in un colpo solo – costretti alle dimissioni – hanno perso tutto il potere?
Anche di un altro ex candidato alla Segreteria di Stato, il cardinale Mauro Piacenza alla guida della Congregazione per il clero, non si hanno molte notizie. Ma è soprattutto dal ventre molle dei funzionari di seconda fascia, in Italia e nel mondo, che il Papa dovrà guardarsi; non sarà un altro scandalo vatileaks ad affondare Francesco, ma certo un potere finito che si dibatte anche in modo autodistruttivo, può essere assai pericoloso. Da questo scenario ambiguo è uscito lo scandalo che ha investito monsignor Battista Ricca, appena nominato dal Papa nuovo prelato dello Ior e dal cui passato sono già emerse, quasi d’incanto, varie relazioni omosessuali. Si dimette o no? Si vedrà, intanto il caso è scoppiato. Certo rispetto al pontificato Ratzinger è saltata ogni mediazione, la riforma per avere successo dovrà sconvolgere strutture e abitudini – quindi anche stili di vita – del resto è stata proprio la guerra scoppiata intorno al papa tedesco a indurre il sacro collegio a compiere una scelta definitiva di rottura.
* Quest’articolo è apparso sul Secolo XIX del 23 luglio