In queste ore è tanto semplice quanto utile trovare il rapporto di Amnesty International sul Kazakhstan. Dove la tortura regna indisturbata.
E’ un rapporto preciso, documentato, corredato da foto e nomi: nomi di vittime di uno stato-canaglia, il Kazakhstan di quel signor Nazarbaev, che ricordiamo al potere nella repubblica centro-asiatica non soltanto dal 1990, quando ottenne l’indipendenza dall’Unione Sovietica in seguito al suo disfacimento, ma anche prima, quando era il giovane, autocratico e “brillante” segretario del Pcus kazakho.
Il rapporto di Amnesty comincia ricordando che nel febbraio del 2010 il governo di Astana si impegnò ufficialmente e formalmente con le Nazioni Unite a lavorare senza sosta per rimuovere i resti del vecchio sistema di tortura dalle prigioni del Paese. Belle parole che non nascondevano un dato evidente: quel “vecchio sistema” il presidente al potere dal ’90 e prima segretario del Pcus nazionale perché non lo aveva già combattuto? Comunque, ammesso e non concesso che qualcuno abbia creduto alla sincerità dell’impegno, l’impegno c’è stato. Ma nel 2012, dopo la carneficina di Zhanaozen, dove la polizia ha sparato ad alzo zero (seconde numerose denunce) sui manifestanti, arrestandone 700 (150 secondo fonti ufficiali) l’Alto Commissario dell’Onu per i diritti umani ha preso atto che l’impegno di Nazarbaev era rimasto lettera morta: e ha formalmente chiesto di far entrare nel Paese una commissione d’inchiesta internazionale, la sola che avrebbe potuto consentire di capire cosa realmente accade e quanto gravi siano le violazioni dei diritti umani nel paese. Come mai? Perché il Kazakhstan, scrive Amnesty International, ha consentito l’ingresso di osservatori tra il 2005 e il 2011, ma ha sempre reso problematico (se non impossibile) l’ingresso nei centri di detenzione gestiti direttamente dalla polizia e dal Servizio Nazionale di Sicurezza, oltre ad aver riportato proprio nel 2011 l’intero sistema penitenziario sotto la responsabilità del Ministero dell’Interno, togliendolo a quello della Giustizia.
Amensty nota che dopo i gravissimi fatti di Zhanaozen, Nazarbaev visitò la città, per dare atto alla polizia di aver fatto il proprio dovere: il fuoco era stato aperto da “hooligans”. Certo, il procuratore della Repubblica non si attenne proprio alla linea indicata dal presidente, aprì un’indagine e incriminò cinque poliziotti, ma le accuse ne coinvolgevano molto di più, e le foto pubblicate da Amensty fanno capire bene perché.
Questa è un’idea di quanto Amnesty documenta sul Kazakhstan. Seguono poi le schede di tantissimi casi giudiziari, di dissidenti trasformati in mostri, in assassini seriali, e detenuti per anni senza nessuna garanzia, sovente in isolamento. E chissà che altro… Un esempio? Quello di Aron Atabek, poeta, dissidente: è stato arrestato dopo una manifestazione di “abusivi” (si stavano per demolire le loro case). Lui li difendeva: ma è stato arrestato per sequestro di pubblico ufficiale: Condannato a una marea di anni, detenuto in isolamento per anni dal 2006. In condizioni che Amnesty definisce sotto gli standard igienico sanitari.