Il primo miracolo di papa Francesco è stato ieri, quando dagli articoli e dai servizi di Tg e Gr sulla sua visita a Lampedusa sono scomparse quasi del tutto le parole clandestini, extracomunitari, vucumprà. Gli uomini e le donne venuti dal mare alla ricerca di una speranza sono tornati a essere uomini e donne. Al più migranti. La battaglia per l’uso corretto delle parole, portato avanti dall’Associazione Carta di Roma, sembrava aver fatto breccia. Nessuno voleva sfigurare proprio mentre il papa abbraciava le persone che teniamo nei CIE e ringraziava il popolo di Lampedusa “esempio di amore, di carità, di accoglienza”. Più tardi, a visita ormai conclusa, è arrivato un tweet di papa Francesco: “Dio ci giudica da come trattiamo gli immigrati”. Un monito duro, come dure sono state le sue parole nei confronti della globalizzazione dell’indiferenza, della nostra abitudine a rispondere come Caino dopo l’assassinio di Abele: “Sono forse io responsabile di mio fratello?”. Il popolo di Lampedusa – che da sempre accoglie gli stranieri – ha applaudito. I media hanno esultato. Ma le abitudini sono dure a morire e non vorremmo che passata l’emozione gli stranieri che arrivano qui da noi via terra e via mare, tornassero rapidamente a essere per i media dei clandestini, dei vucumprà, degli extracomunitari. Anche i minorenni (ieri ce n’erano tanti a Lampedusa), anche quelli che muoiono in mare e che da ieri hanno almeno la corona di fiori del papa, anche quelli sepolti senza nome nel piccolo cimitero dell’isola siciliana. Non vorremmo che le barche che ieri hanno fatto da altare per la celebrazIone della Messa tornasero a essere le carrette del mare, che i naufraghi diventassero nuovamente invisibili, che le condizioni dei CIE fossero accettate come inevitabili. Nella notte c’è stato un nuovo sbarco. Eritrei, maliani, somali, maghrebini, libici, nigeriani, sudanesi continuano a cercare in Europa un futuro, come noi italiani lo abbiamo cercato e trovato nelle Americhe, in Francia, Germania, Belgio, Svizzera. Anche noi eravamo clandestini, sciuscià, ladri di lavoro. Anche noi chiedevamo rispetto e dignità. I giornalisti hanno anche questo compito. Raccontare senza giudicare, senza omettere, senza condannare a priori. E fare memoria: dei nostri morti, dei nostri migranti, dei nostri lavoratori, dei nostri figli nati altre terre che hano saputo accoglierli e così simili ai figli di altre terre che oggi arrivano qui da noi.
- Francesco a Lampedusa, un messaggio anche per noi giornalisti di Roberta Gisotti