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I casi Ablyazov e Navalny. Gli oligarchi “sovietici” spadroneggiano sull’Europa

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Un dissidente kazako, Ablyazov, inviso al padre-padrone delle immense ricchezze energetiche del suo paese, già ex-dignitario del partito comunista sovietico e da 30 anni oligarca assoluto del Kazakistan, Nazarbayev, viene perseguitato in patria e all’estero, accusato strumentalmente di reati economici, come truffa ed evasione fiscale. Un altro dissidente russo, Navalny, noto nel suo paese per il suo blog a difesa di quanti lottano contro il regime del presidente Putin e contro il conglomerato affaristico, politico, militare, mediatico bancario ed energetico, viene condannato per futili motivi a 5 anni, per impedirgli di presentarsi alle prossime elezioni comunali di Mosca (dal 2005 non si tengono elezioni comunali nelle principali città russe e i sindaci sono nominati da Putin).

Questa è la “via orientale” alla democrazia post-sovietica, 24 anni dopo la caduta del muro di Berlino. Una serie infinita di abusi e di violenze, di omicidi politici, processi farsa, spoliazioni di patrimoni pubblici, chiusure delle “voci” della dissidenza, assenza di rispetto dei diritti fondamentali civili e umani, censura alla libertà di stampa e di espressione. Nonostante le grida allarmanti degli organismi internazionali, che ogni anno denunciano questo stato di cose, l’Europa con le sue istituzioni comunitarie e come singoli stati, non è mai intervenuta concretamente. Basti pensare al caso eclatante, imbarazzante per l’Unione Europea del governo nazionalista e razzista di Orban nell’Ungheria comunitaria. A nulla sono valse finora le prese di posizione dell’Europarlamento, dei gruppi democratici e progressisti contro le leggi censorie e razziste promulgate negli ultimi due anni da Budapest.La Commissione, guidata dal conservatore portoghese Barroso, nulla ha fatto per riportare l’Ungheria verso la strada del rispetto dei diritti fondamentali,  sottoscritti anche nel Trattato di Amsterdam, una sorte di Costituzione comunitaria.

La passività degli europei e del nostro paese nei confronti degli oligarchi dell’ex-impero sovietico dell’Est Europa si basa su due fattori di ricatto, ai quali si sono sottomessi i governi progressisti e conservatori finora susseguitisi nei principali stati membri (Germania, Francia, Gran Bretagna, Italia e Spagna): le risorse energetiche (gas e petrolio) e gli investimenti finanziari. Gli europei dipendono dal gas siberiano e kazako, succhiano con le kilometriche pipe-line petrolio a buon prezzo e, soprattutto negli ultimi dieci anni, sopravvivono grazie agli investimenti dei “nuovi ricchi” d’oltre cortina, che spesso riciclano danaro “sporco”, per alimentare i portafogli delle asfittiche società quotate in Borsa. A questo “ricatto post-comunista” si aggiunge la ragnatela di attività lobbistiche condotte da alcune “fondazioni” di geopolitica create dagli oligarchi, che contemplano tra i loro maggiori consulenti i più importanti ex-presidenti del consiglio, ex-premier, ex-cancellieri ed ex- ministri economici conservatori e progressisti dei 5 principali paesi europei, i quali ricevano fior di compensi in cambio dei loro consigli e delle loro “capacità di persuasione” presso la business community e i rispettivi governi.

In questo intreccio di interessi, formalmente legali, ma molto basati su enormi conflitti di interessi con i sistemi veramente democratici, nascono e prolificano i casi di fortune e disgrazie politico-affaristiche e prosperano ingiustizie verso gli oppositori di quei regimi, che a volte si trasformano anche in eliminazione fisica dei dissidenti.

Al momento il blogger Navalny è stato condannato a 5 anni, con pena sospesa “per grazia divina” voluta dal Cremlino, ma certo sarà molto difficile per lui e i suoi seguaci presentarsi alle elezioni comunali di Mosca a settembre. Soprattutto la sua condanna fungerà da monito per quanti volessero seguire la strada del blogger e non piegarsi ai sistemi coercitivi della “finta democrazia” russa (sempre che non si possa scegliere l’esilio come per l’ex-campione mondiale di scacchi Kasparov, compagno di lotte di Navalny).

Per il kazako Ablyazov il dittatore kazako Nazarbayev, che ha vinto le elezioni farsa con oltre il 90% dei consensi e nonostante le forti e documentate contestazioni dell’OSCE, ha seguito lo stesso copione del suo emulo Putin. Per screditare il maggior dissidente interno, ha creato prove su prove per accusarlo di bancarotta fraudolenta e ad altri crimini finanziari. Così da rifugiato politico in Inghilterra, Ablyazov è diventato uno scomodo ospite ricercato dall’Interpol, guardato a vista da polizia e servizi segreti, e la sua famiglia perseguitata ovunque si trovasse.

Ecco così arrivare in aiuto dell’oligarca kazako, protettore di ingenti investimenti finanziari e commerciali italiani (siamo il terzo paese nell’interscambio dopo Russia e Cina), il ricattabile governicchio italico. Gli emissari spadroneggiano al Viminale, inventano falsi dossier contro la famiglia del dissidente, prelevano in forze la moglie e la piccola figlia, e poi, senza ritegno si lasciano dietro una scia di prove documentali che in un altro paese avrebbero fatto cadere teste di alti dirigenti della polizia e dei servizi segreti, oltre a creare una crisi di governo e a sbattere fuori dai confini italiani l’ambasciatore e il console kazaki.

Ma la “piccola Italia”, così intenta a fare affari con il regime di Almaty –Astana (un tempo la capitale era Alma-Ata), la terra dei cosacchi e dello strategico centro spaziale di Bajkonur, non poteva resistere ai canti delle sirene kazake e pertanto ha permesso l’atto più indegno che un paese civile possa fare nei confronti di rifugiati politici: consegnarli al loro nemico e carceriere. I documenti che di giorno in giorno vengono scoperti stanno a dimostrare che il ministro dell’Interno, il segretario del PDL e vicepremier, Angelino Alfano, non poteva “non sapere” e che la catena di comando ai suoi ordini conosceva le intenzioni di “extraordinary rendition” delle autorità kazake nei confronti della famiglia del dissidente.

Ma per salvare “capre e cavoli” e per non creare altri inciampi alla flebile alleanza di governo Letta-Berlusconi, e dopo un intervento fuori dai tradizionali canoni istituzionali del capo dello stato, un Senato abbagliato dalla recita da pupo siciliano, incantato dall’eloquio da leguleio di tribunale di provincia, ha votato per salvare la poltrona di ministro al “delfino” di Berlusconi.

Abbiamo assistito alla riedizione della sceneggiata andata in onda tempo fa alla Camera, quando il PDL fece approvare la mozione a favore della versione fantasiosa, boccaccesca e inverosimile di un Berlusconi capo del governo che cerca di aiutare la malcapitata Ruby, “nipote” del rais egiziano Mubarak. Allora, però, i parlamentari del PD non crederono al falso macroscopico e mantennero ben salda la connessione tra cervello raziocinante e mano votante. Allora, tutto il mondo occidentale e non solo ci rise dietro. Perdemmo ancor più quel poco di credibilità internazionale e fu l’inizio del declino del governo Berlusconi. Oggi, i maggiori giornali finanziari si domandano come mai l’Italia ha ancora questa classe dirigente politica al comando, dopo tutti i danni provocati dal ventennio berlusconiano e i 5 anni di crisi economica che ci sta portando verso il baratro.

Certo, dietro il caso Ablyazov, ci sono interessi conflittuali che vanno ben oltre i “non sapevo”, “non ricordo”, “non sono stato informato”, o l’eccesso di autonomia dei corpi di polizia dello stato: alcuni personaggi hanno inteso favorire i desideri di un oligarca, perché così facendo hanno difeso i loro interessi finanziari ed economici, proprio mentre alcune loro società sono in forte crisi e si stanno cercando investitori esteri capaci di rinsanguarne le casse.

Una strada questa che porta il nostro paese verso la deriva terzomondista, da “repubblica delle banane” e certo non ci fa riemergere dalla polvere e rialzare la testa nell’olimpo del G8. Più che auspicare un “Tagliando” a settembre per il governo delle “strane intese”, sarebbe meglio che l’intera classe dirigente italiana, quella politica e quella affaristica (un tempo denominata anche “razza padrona”), sarebbe meglio che pensassero a come non finire nella “Rottamazione”, quando arriveranno i nuovi verdetti peggiorativi delle altre agenzie di rating mondiali. Forse, allora, per qualcuno sarà meglio cercarsi un “esilio dorato” in terra kazaka…


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