Hanno vinto i 101? Il caffè di sabato 13 luglio

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C’è un titolo che nessun giornale riesce a fare, perché c’è un limite all’indecenza. “Alma e Alua possono tornare”. Eppure è questo che ha sostenuto, con una buona dose di faccia tosta, ieri l’Italia revocando l’espulsione alla donna, moglie di un dissidente kazako e alla figlia di 6 anni. “L’espulsione era illegale” titola Repubblica. Tutti i segreti del giallo kazako”, Il Corriere. “Caso Kazakistan per il governo”, La Stampa.

La notte del 28 maggio un gruppo di energumeni vocianti (pare che uno di loro abbia zittito la signora gridando “siamo la mafia”) fa irruzione in una villetta di Casal Palocco, a Roma. Cercano Mukhtar Ablyazov, dissidente odiato dal dittatore Nazarbaev, uno di quelli che Berlusconi usava blandire. Lo cercano per via di un mandato dell’Interpol, nessuno al ministero controlla che si tratta in realtà di un dissidente in un paese dove si pratica la tortura, di un perseguitato politico. L’uomo non c’è. Allora i nuovi “bravi” acchiappano Alua e la mamma, che ha il passaporto, sì, ma sotto il nome da ragazza, e poi passaporto africano, presumibilmente, falso. Il giorno dopo un giudice distratto (altro che velocità della giustizia con Berlusconi!) conferma: passaporto falso. Ci sarebbe l’appello, ma le due donne vengono tradotte subito a Ciampino, dove un jet privato le attende per portarle in Patria. Alma sarà processata, Alua finirà in un orfanotrofio, dice ora il padre a Maurizio Molinari.

Ma che bravo Letta, ha fatto chiarezza, in pochi giorni! Emma Bonino non sapeva. Eppure – rivela Fiorenza Sarzanini – c’è un fax della Farnesina che, quando, in quei giorni concitati, fu chiesto se Alma avesse per caso una immunità diplomatica, rispose che no, la si poteva espellere. Non sapeva neanche il ministro dell’Interno, evidentemente abbonato assente per gli uomini della sicurezza, che pure in teoria dipendono proprio dal capo del Viminale. Nessuno lo informa, povero Alfano, tutti preferiscono rispettare il suo lutto e il travaglio per le vicende giudiziarie del Grande Capo. Ma ora Alma e Alua possono tornare. Il passaporto era in regola. L’Italia sa riconoscere i propri errori. Che bravo il Premier. No, non può finire così. È necessario, almeno che il Vice Presidente del Consiglio e Ministro dell’Interno spieghi in Parlamento come possa darsi che due donne indifese  siano state catturate e deportate sotto i suoi occhi senza che lui ne sapesse niente. Che il ministro degli esteri venga a spiegare cosa stia facendo la Farnesina per riportare in Italia una bambina e la sua mamma. Che il Presidente Letta dia conto delle pressioni dei kazaki, che nei giorni del blitz sembravano padroni in casa nostra.

“Destra e sinistra si diano una calmata”. L’ha detto Napolitano? No, Berlusconi. In un’intervista a Paolo Guzzanti, sul Giornale. Il Cavaliere cambia linea, ora blandisce la Cassazione, assicura che il governo Letta è il migliore possibile, giura che le sue “dolorose” vicende non ne mineranno la durata. Non avevamo dubbi. Altri, giornalisti e politici, nervosi e tremebondi, si sono agitati e si agitano a ogni stormir di fronde, a ogni flautus vocis del prode Brunetta o della Pitonessa Santanchè. Dice Berlusconi: “certe volte quelli che vorrebbero agire come miei sostenitori accaniti, quelli più schierati e anche più affettuosi, prendono posizioni esterne ed estreme che poi vengono attribuite a me. E questo certe volte mi fa venire i brividi”. Povero Silvio, evitiamogli almeno i brividi. Sarebbe bastato che tre giorni fa, quando Brunetta tuonava contro la Cassazione e chiedeva tre giorni di interruzione dei lavori parlamentari, prenderlo un po’ in giro. Tre giorni di lutto? Volete celebrare il funerale del vostro capo. Ma via, è troppo presto. Vi concediamo al massimo tre ore per riunirvi. Ma, per favore, si pulisca la bocca, caro professor Brunetta, prima di svillaneggiare le istituzioni della Repubblica. Non si sputa nel piatto comune. Così difficile? No, la politica non è difficile, se la si fa con disinteresse e a occhi aperti.

Invece per certuni la politica è come il metodo Stamina, una sorta di esorcismo segreto per far quadrare il cerchio, per raddrizzare lo storto, Un rito iniziatico per pochi eletti che talvolta non si capiscono tra loro. “Una legge del Pd salva Berlusconi”, gongola il Fatto. Massimo Mucchetti, ottimo giornalista del Corriere e ora Presidente di Commissione al Senato, vive male che non ci sia in Italia una legge sul conflitto di interessi. E ha ragione. Malissimo (e lo capisco) il fatto che si possa decidere l’ineleggibilità di Berlusconi sulla base di una legge del 57 mai attuata. E che fa? Immagina un provvedimento che dichiari il Cavaliere incompatibile, non ineleggibile. Dopo un anno dal verdetto, B potrebbe scegliere: o padrone del suo gruppo (che secondo la sentenza Mediaset avrebbe sempre continuato a gestire) o parlamentare della Repubblica. Buona, ne sono certo, l’intenzione. Ma a questo punto, a pochi giorni dal giudizio in Cassazione, con l’opinione pubblica che vuol sapere se il Pd deciderà di dichiararlo eleggibile oppure no,  ora e adesso, che vuol dire un siffatto provvedimento? Qual è il senso politico che assume? La risposta, purtroppo è semplice: quello di un pasticcio, che non piace a chi difende Berlusconi e indigna chi lo contesta. Un capolavoro di politica immaginaria. Il guaio è che la proposta è stata firmata anche dal capo gruppo del Pd al Senato, Luigi Zanda.

Da un capo gruppo all’altro. Roberto Speranza, capo gruppo del Pd alla Camera, concede un’intervista a La Stampa per rinviare al mittente l’offerta di Nicola Morra, movimento 5 Stelle, il quale – lo ricorderete – non aveva escluso che il suo gruppo possa appoggiare un governo Pd. “Mi pare chiaro che l’inaffidabilità sia la loro cifra”, dice Speranza. Colpevoli di non aver appoggiato Bersani quando gli era stato chiesto, ora tacciano. Ma Roberto, che non lo sai che in politica ogni tanto si cambia avviso? Noi, del Pd, non avevamo forse detto, ripetuto, persino giurato: mai con Berlusconi? Poi siamo incorsi nel pasticcio delle elezioni presidenziali. Marini? No! Prodi, No, dopo avere applaudito a scena aperta l’annuncio della sua candidatura, Rodotà? Mai. Chissà perché. Infine tutti in ginocchio da Napolitano, che, per punizione, ci ha detto: ora vi alleate con Berlusconi. Siamo dunque pure noi “inaffidabili”?

La cosa singolare è che il capo gruppo alla Camera spiega il nuovo corso (l’appoggio al governo delle larghe intese) come una svolta strategica. “Noi abbiamo fatto una scelta alcuni mesi fa (appoggiare il governo Letta)….Il senso di quella scelta è che prima viene l’interesse dell’Italia, poi tutto il resto. Anche l’interesse del partito” E aggiunge rivolto a presunti “dissidenti”: “ci si dica se quella scelta non vale più”. Rispondo per me, semplice senatore. Ho votato la fiducia dicendo che le larghe intese restavano un grave errore ma riconoscendo che, a quel punto, non si poteva paralizzare il Paese per i nodi irrisolti del Pd, che un governo era necessario. Se questo governo – avevo detto – risponderà alle aspettative, se riuscirà cioè a dare una spinta all’economia, a fare qualcosa contro la corruzione, a cambiare la legge elettorale, bene. Se no, si riprenda il filo del discorso che fu di Bersani. Dissi e non ho cambiato avviso.

Sbagliavo, sbaglio, caro Speranza? Avete fatto una scelta “epocale”? Ora pensiamo che le intese (non sono affatto “larghe”, come dice Cirino Pomicino) siano nell’interesse del paese, punto? Che “il cambiamento” bersaniano sia da considerarsi nullo e mai avvenuto? Insomma, avete fatto un congresso e l’hanno vinto i 101? Non me n’ero accorto. Ma è possibile che fossi distratto, troppo occupato a rispondere ai twitter e alle mail di protesta di tanti nostri (ex?) elettori.

da corradinomineo.it


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