F-35: Casson, ma servono davvero?

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La vicenda degli F-35 è uno di quei dibattiti destinati a rendere ancora più rovente la già caldissima estate italiana. Il loro acquisto, infatti, pur essendo stato deplorato da quasi tutte le forze politiche in campagna elettorale è prontamente tornato d’attualità con la nascita del governissimo (i maligni azzardano addirittura l’ipotesi che sia stata una delle cause principali della nascita di questo strano esecutivo), in barba alle promesse fatte agli elettori e, ci permettiamo di aggiungere, al buonsenso che consiglierebbe di congelare e rivedere da cima a fondo una spesa così ingente in un momento storico nel quale mancano persino i fondi per rifinanziare la cassa integrazione in deroga. La pensa così anche il senatore Felice Casson, primo firmatario di una coraggiosa mozione di minoranza che ha aperto un nuovo fronte all’interno del Partito Democratico tra i governasti a oltranza e coloro che, come noi, pur sostenendo con crescenti difficoltà la compagine guidata da Enrico Letta, non rinunciano a rivendicare l’autonomia e la centralità del Parlamento e la libertà d’iniziativa di un partito, il PD per l’appunto, che non può continuare a rinviare all’infinito il proprio dibattito interno, rischiando di lacerarsi su ogni singola questione e di subire passivamente le sparate strumentali di chi, pur non avendo alcuna visione della società e del futuro, non fa altro che anteporre, sempre e in ogni luogo, le proprie smodate ambizioni personali agli interessi del Paese.

Casson, al contrario, è un uomo coraggioso, capace di scindere il doveroso sostegno al governo dalla necessità di indicare al Paese una credibile alternativa di sinistra in vista delle prossime elezioni. Gli chiediamo, pertanto, un parere sull’andamento dei lavori in Aula e ci spiega che “sulla Mozione di cui ero il primo firmatario ci sono stati 29 voti: il Movimento 5 Stelle non ha partecipato al voto e, dunque, i voti sono venuti da SEL e da una parte dei senatori del Partito Democratico”. E aggiunge, con una presa di posizione che ci sentiamo di condividere al cento per cento:  “Era indispensabile confermare questa posizione sia al Senato sia all’interno del PD perché le dichiarazioni, anche di questa mattina, del ministro Mauro non mi sono sembrate convincenti. Poiché a nessuno piace essere preso in giro, come ho detto ieri in Aula, non è accettabile quest’ennesimo cedimento alle lobbies industriali e militari”.

Al che, incuriositi, gli poniamo la domanda che si stanno ponendo da mesi i milioni di elettori che, al di là del proprio voto, lo scorso 24 e 25 febbraio si erano espressi a favore di una radicale inversione di rotta: potrebbe essere questo il primo passo verso la nascita di un vero governo del cambiamento? Casson, pur mantenendo la prudenza che è d’obbligo in questi casi, ci spiega che “non è che ci sono piccole questioni: sono questioni un po’ particolari e direi a margine del programma di governo perché anche la vicenda degli F-35 non faceva parte degli accordi di governo. Personalmente, credo che in questi ambiti, compreso ovviamente anche il settore giudiziario, sia opportuno ragionare in un altro modo proprio perché col PDL non c’è alcuna possibilità di accordo”. Se son rose…

Visti la stima, l’affetto e la condivisione ideale che ci legano al senatore Casson, pubblichiamo in allegato il testo integrale della mozione di cui sopra, cogliendo l’occasione per ringraziare lui e il suo staff per la cortesia accordataci.

Il Senato,

premesso che:

sulla questione F-35/JSF è utile partire dalla cronologia delle decisioni fin qui assunte;

l’Italia aderisce al programma JSF nel 1996, tramite il Ministro della difesa Andreatta, limitatamente alla fase iniziale “Concettuale dimostrativa”, ratificata con la firma del MoA (Memorandum of Agreement) in data 23 dicembre 1998;

conferma l’adesione al programma limitatamente alla fase di “Sviluppo e dimostrazione del sistema”, dopo il voto favorevole delle Commissioni Difesa del Senato (14 maggio 2002) e della Camera dei deputati (4 giugno 2002);

per quanto riguarda la partecipazione alle fasi successive il Governo si è limitato ad un’attività informativa, cui non sono seguite votazioni: Camera, Commissione Difesa 16 gennaio 2007; Senato, Commissione Difesa 30 gennaio 2007;

nel 2007, il Sottosegretario di Stato ha informato il Parlamento che la firma del MoU (Memorandum of Understanding) relativo alla fase di “Produzione, supporto e sviluppo del velivolo” non richiedeva un parere parlamentare;

nella fase ulteriore (Camera, Commissione Difesa 8 aprile 2009 e Senato, Commissione Difesa 8 aprile 2009), si è deciso di finanziare la costruzione di uno stabilimento a Cameri (Novara) per l’eventuale assemblaggio di velivoli (decisione adottata senza la partecipazione al voto dei parlamentari del Partito democratico, in quanto si è ritenuto che si trattasse del classico carro davanti ai buoi);

non esiste a tutt’oggi alcun impegno all’acquisto di questi velivoli;

non c’è alcun contratto firmato e tantomeno alcuna penale;

l’argomento che viene utilizzato dai sostenitori del programma sarebbe di natura operativa e riguarderebbe il fatto che le capacità militari dell’Aeronautica oggi sono garantite da tre diverse linee di volo con distinte caratteristiche: AMX, Tornado, Eurofighter, F-16 Harrier (a decollo verticale imbarcati su portaerei) e che gli AMX, i Tornado e gli Harrier devono essere sostituiti perché vicini alla fine della loro vita operativa;

peraltro, la decisione di sostituire queste 3 linee di volo con il JSF è basata su presupposti che si rivelano sempre meno convincenti sul piano industriale, come sempre meno convincente è l’affidabilità di questo modello ancora alle prese con molte difficoltà tecniche;

l’esigenza operativa che viene messa in primo piano è quella di garantire alle forze aeree di poter operare al più alto livello tecnologico in ambito Nato;

questa affermazione è contraddetta da vari fattori: la maggior parte dei Paesi della Nato non adotterà questo velivolo; operazioni integrate Nato-Unione europea, come quelle svolte nella recente campagna in Libia, hanno visto operare insieme velivoli di produzione americana e di produzione europea perfettamente integrati;

dal punto di vista operativo, inoltre, va tenuto presente che nella nuova situazione geopolitica difficilmente potrà configurarsi, per l’Italia, la necessità di dover sostenere un conflitto ad alta intensità tale da giustificare un “cacciabombardiere di superiorità aerea”;

in realtà, l’accento che viene posto sulla presunta superiorità aerea del velivolo e sulla sua invisibilità ai radarriesce a far passare in secondo piano gli aspetti di politica industriale, che invece sono prevalenti;

semplificando, si può dire che, ribadita l’insussistenza delle motivazioni indicate, addotte dai sostenitori del programma JSF, si è aperta una competizione industriale a livello mondiale nella produzione militare nel settore aeronautico e l’Europa teme di rimanerne esclusa;

i Governi francese e tedesco negli ultimi mesi hanno più volte cercato di coinvolgere i più importanti Paesi europei al fine di sviluppare insieme attività industriali in questo settore;

l’industria aeronautica militare italiana ha una storia molto importante dal punto di vista ingegneristico e produttivo. Con Alenia e Augusta l’Italia è stata ed è tuttora socio di grandi consorzi di produzione;

nel settore aeronautico il consorzio “Eurofighter” è in grado di produrre un velivolo assolutamente competitivo. Il passaggio da costruttori (nell’ambito del consorzio) ad assemblatori (la Lockheed propone il modello “Ikea”, per il quale la produzione avviene negli Stati Uniti e a Cameri è effettuato l’assemblaggio dei soli velivoli eventualmente acquistati dagli europei) avrebbe come effetti la fine delle capacità ingegneristiche di Alenia, la riduzione qualitativa della forza lavoro (pochi ingegneri e molti montatori) e la riduzione quantitativa della forza lavoro (Cameri potrà al massimo impiegare 800 unità che rappresentano un terzo di quelle attualmente impegnate da Alenia);

rivedere queste scelte appare quantomeno sensato e congruo rispetto all’attuale situazione economica e finanziaria del Paese;

nella fase finale della guerra fredda il Pentagono si era posto il problema della necessità di costruire un cacciabombardiere di profondità, cioè in grado di penetrare per migliaia di chilometri in territorio nemico risultando invisibile ai radar;

la sfida tecnologica venne accettata dalla Lockheed che elaborò un progetto;

l’Italia aderì alla fase di progettazione, ma al momento di acquistare il prototipo il Governo Berlusconi (inizio 2009) rinunciò. La rinuncia favorisce la società costruttrice perché rimane sola ad effettuare le prove di volo. Le prove, però, non vanno nella maniera sperata. Con il passare del tempo viene sospesa la produzione del modello a decollo verticale che l’Italia avrebbe dovuto imbarcare sulla portaerei “Cavour”. Al momento attuale la questione non è risolta per gli inconvenienti tecnici che la Lockheed deve superare sul prototipo;

l’Aeronautica italiana si dichiara interessata all’acquisto di 133 velivoli (ridotti a 90 dal Governo tecnico di Monti). Il Governo ottiene in cambio la possibilità di eseguire il montaggio delle semiali in uno stabilimento che l’Italia dovrebbe mettere a sue spese in funzione a Cameri. Anche sulla base di questo piano di acquisti e poi finanziario, lo stabilimento di Cameri ottiene un finanziamento di 1,5 miliardi di euro. I lavori sono iniziati nel 2010 e avrebbero dovuto concludersi nel 2012;

va inoltre rilevato che al momento si sono ritirati o hanno sospeso la loro partecipazione al programma i seguenti Paesi: Norvegia, Olanda, Australia, Turchia, Danimarca e Canada. La Gran Bretagna ha falcidiato le previsioni di spesa (ne doveva comprare circa 130, oggi ne conferma solo 20); persino gli Usa stanno valutando l’annullamento della versione “B”, a decollo corto e atterraggio verticale, che interessava la nostra Marina;

il costo del velivolo al momento non è fissato e viene stimato in una cifra che va dai 110 ai 200 milioni di euro ciascuno. Il programma, nella sua totalità registrerebbe un costo non ancora esattamente definibile ma comunque in nessun modo inferiore ai 12 miliardi di euro complessivi e si articolerebbe nell’arco di 12 anni;

considerato che di recente sono cambiate le normative in materia, tanto che i programmi relativi all’acquisto o all’ammodernamento dei sistemi d’arma non si approvano attraverso leggi ordinarie, ma secondo le procedure caratterizzate dalle specificazioni che seguono. Tali programmi sono presentati in Parlamento come “Atti di Governo” e in tale veste sottoposti al parere delle Commissioni. Fino alla fine del 2011, i pareri erano obbligatori ma non vincolanti, il che vuol dire che queste decisioni dipendevano dal Governo. Con la legge delega per la riforma delle forze armate, approvata in via definitiva a dicembre 2012 (legge n. 244 del 2012), con il voto contrario di Italia dei Valori e l’astensione della Lega Nord, è entrata in vigore una nuova normativa in materia, introdotta da un emendamento del capogruppo del Partito democratico in Commissione Difesa del Senato, secondo la quale: il Governo presenta il programma corredato di tutte le clausole contrattuali, i costi, le contropartite industriali e le eventuali penali; l’atto di Governo viene sottoposto all’esame delle Commissioni Bilancio e Difesa che possono chiedere modifiche; il Governo in una successiva seduta dichiara se le accoglie o le ragioni per cui non può accoglierle; a questo punto il parere delle Commissioni può, con un voto a maggioranza dei componenti, bloccare il programma;

considerato altresì che:

come ampiamente e pubblicamente noto, il progetto concernente i cacciabombardieri F-35/JSF, oltre che collocarsi in altra epoca storica (quella della guerra fredda), ha generato polemiche aspre, soprattutto a causa di costi esorbitanti, in continua ascesa, oggetto per di più di omissioni informative da parte dei vari Governi interessati, con riferimento anche ai costi necessari per uso e manutenzioni; pesanti criticità tecnologiche e tecniche, segnalate persino dal Pentagono e dal GAO (Government accountability office), in riferimento a dotazioni del pilota, problemi al motore, vulnerabilità ai fulmini, eccetera, criticità che conducono ad ulteriori ritardi del programma e al conseguente innalzamento dei costi;

la nuova normativa e le nuove procedure adottate consentono di ripensare qualunque programma e attribuiscono al Parlamento un ruolo decisivo, di cui il Parlamento stesso deve fare oculato e motivato uso, soprattutto in presenza di tagli ai vari settori della vita pubblica, che sono continui e pesanti, mentre i costi per il programma F-35 appaiono francamente esorbitanti e fuori luogo,

impegna il Governo:

1) a sospendere immediatamente la partecipazione italiana al programma di realizzazione dell’aereo JSF/F-35;

2) a procedere, in prospettiva europea, ad una visione strategica della politica di difesa;

3) a destinare le somme risparmiate ad investimenti pubblici riguardanti la tutela del territorio nazionale dal rischio idrogeologico, la tutela dei posti di lavoro, la sicurezza dei lavoratori. 


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