Scrivo alla vigilia di una ricorrenza importante come quella del 25 luglio ma, soprattutto, alla vigilia del centesimo compleanno di uno dei personaggi peggiori che siano mai esistiti su questa Terra: Erich Priebke, uno dei boia delle Ardeatine, la strage nazista che il 24 marzo 1944 costò la vita a trecentotrentacinque cittadini italiani, inermi e innocenti, vittime della rappresaglia voluta da Hitler in seguito all’attentato compiuto dai GAP in via Rasella ai danni del “Polizeiregiment Bozen” delle SS. Mettiamo in chiaro una cosa: non è nostra intenzione trasformare un carnefice in martire, pertanto siamo contrari alla linea di coloro che lo vorrebbero in carcere e, magari, anche in catene e con la palla al piede. Tuttavia, riteniamo inaccettabile che un simile personaggio, che tanti lutti e tanto dolore ha causato al nostro Paese, possa essere in qualche modo festeggiato o, peggio ancora, acclamato come un eroe.
Non c’è nulla di eroico, infatti, in un uomo che si è macchiato di crimini gravissimi contro l’umanità, che ha seguito e si è fatto interprete di un’ideologia assassina e tirannica, che non ha avuto il coraggio e la dignità di ribellarsi quando avrebbe potuto e dovuto, che non si è mai pentito né ha mai pensato minimamente di chiedere scusa per la barbarie commessa. Non c’è nulla da festeggiare nella vita di un uomo che ha vissuto per decenni nell’anonimato, in Argentina, senza mai neanche un rimorso di coscienza, senza mai porsi delle domande, senza mai immaginare nemmeno il dolore e lo strazio che le sue azioni hanno arrecato a chi si è visto trascinare via e uccidere crudelmente un familiare o un amico solo perché italiano o perché ebreo (spesso entrambe le cose).
Per questo, come associazione da sempre vicina ai diritti umani e ai temi dell’informazione, chiediamo che il prossimo 29 luglio l’attenzione dei mezzi d’informazione non sia incentrata tanto su Priebke quanto, ora più che mai, su chi è stato in gioventù, sui motivi per i quali risiede, non certo volontariamente, a Roma e su un periodo storico tanto cruciale per la nostra storia quanto, purtroppo, dimenticato e ignorato.
Perché senza memoria non c’è futuro, perché dalla memoria passa il futuro delle nuove generazioni e, soprattutto, perché è assolutamente indispensabile riattivare in un popolo stanco e disilluso quella coscienza storica e critica che sola può consentirci di costruire insieme una società più giusta, più libera e migliore, nella quale nessuno debba mai più cadere sotto i colpi di un qualche capitano Priebke.