Dalla sua penna e dai documenti segreti pubblicati, Carlo Bonini, inviato di punta di Repubblica sulle più intricate inchieste giudiziarie, per anni anche a fianco del compianto Giuseppe D’Avanzo, sono uscite le ricostruzioni del caso di “extraordinary rendition” che ha coinvolto la moglie e la figlia del dissidente kazako Ablyazov. Una pagina nera per il sistema politico italiano, che ancora una volta ha dimostrato la sudditanza e la scarsa autonomia istituzionale dei nostri governi nei confronti dei potenti esteri di turno.
Quale impressione di ti sei fatto, leggendo le carte e riassumendo i fatti?
“L’impressione è di una vicenda che dimostra, oltre al fatto evidente di una “rendition” di fatto con dei profili di illegittimità, ma dimostra al fondo una cosa che non è una novità: e cioè la condizione di sovranità limitata rispetto ai rapporti che il nostro paese nel Ventennio berlusconiano ha allacciato con alcuni regimi, come quelli kazako e russo; la condizione che nel caso specifico ha piegato oltre ogni limite di decenza una normale attenzione verso un paese considerato amico.
Oltre ogni limite di decenza, perché l’invasività e la protervia dimostrate dalla diplomazia kazaka a Roma supera ogni limite inimmaginabile.Un ambasciatore che nella stanza del capo di gabinetto del ministro dell’Interno coordina un’operazione di polizia. E Il giorno successivo nello stesso ufficio si lamenta con il Capo di gabinetto per l’operazione e pretende un supplemento di indagine. Naturalmente il tutto, tacendo un’informazione cruciale: che Ablyazov non era solo un ricercato speciale tra Kazakistan, Ucraina e Russia, non esattamente tre paesi patria dello stato di diritto, ma era anche un dissidente.
La seconda cosa che mi ha colpito, e anche qui non è la prima volta che succede, è il livello di sudditanza che gli apparati di sicurezza del nostro paese dimostrano nei confronti dell’autorità politica. Esiste poi un principio costituzionale che impone alla pubblica amministrazione un vincolo di lealtà all’autorità politica. Ma esiste anche un principio di indipendenza e autonomia al quale, a prescindere dalla guida politica del momento, dovrebbe rispondere la pubblica amministrazione, in ossequio ai principi che la nostra Costituzione riconosce. Questo non è successo!
E’ stato sufficiente percepire, sapere che l’operazione Ablyazov aveva l’i imprimatur del ministro dell’Interno, per evadere la pratica nel modo più sciatto e subalterno possibile, rinunciando persino a una verifica, che avrebbe richiesto qualche secondo connettendosi online, su chi fosse davvero questo latitante kazako, che si doveva prendere “ad horas”. Per non parlare della straordinaria rapidità delle procedure di espulsione di Alma Shalabayeva, la moglie del dissidente, di fronte alle quali persino il Capo della polizia Pansa ha dovuto ammettere che si è trattato di un caso di “non ordinaria rapidità” e tuttavia “non anomalo””.
Quindi, dai per assodata la responsabilità di Alfano? Lui sapeva e aveva coperto le operazioni?
“Do per assodato la responsabilità politica di Alfano per un motivo molto semplice ed evidente dagli atti depositati in Senato quattro giorni fa. Alfano diede via libera all’operazione Ablyazov. Il fatto di non conoscerne da quel momento in poi ogni singolo passaggio non diminuisce la sua responsabilità, ma l’aumenta. Aggiungo che, per misurare la responsabilità politica, non possono e non devono essere utilizzate le categorie del diritto penale. Nel diritto penale la responsabilità è individuale. In politica, soprattutto quando parliamo di un ministro a capo di un dicastero delicato come quello dell’Interno, i criteri di responsabilità si misurano sulla capacità di quel ministro di avere il controllo dell’apparato e dei suoi uomini. Se questo non accade, il ministro è politicamente responsabile. Ed è quello che è accaduto esattamente in questa vicenda. Per un ministro dell’interno dire “non sapevo, il mio apparato non mi ha informato” equivaler a dire non sono in grado di fare il ministro o non sono nelle condizioni di esercitare a pieno il mio mandato”.
Ti sarai fatta un’idea del perché Alfano si è comportato così? Forse doveva fare un favore a un potente italiano?
“Al momento non ho elementi per dire se l’operazione Ablyazov è stata chiesta ad Alfano da Berlusconi o dai kazaki in nome di Berlusconi o più semplicemente dai kazaki in quanto amici di Berlusconi. E’ un fatto che in questa storia tutto quello che hanno chiesto i kazaki, dall’inizio alla fine, è stato fatto senza battere ciglia, compreso ignorare, a partire dal 4 giugno, la circostanza che Ablyazov e sua moglie avevano ottenuto asilo politico in Inghilterra. Dopo il 4 giugno, apprese quelle informazioni, un ministro dell’Interno, pentito o dispiaciuto per quanto accaduto, avrebbe quanto meno chiesto agli apparati e ai suoi uomini di soprassedere alle operazioni di una caccia all’uomo, che invece è proseguita fino a quando poi il caso è diventato di dominio pubblico, politico”.
Sarebbe opportuno espellere l’ambasciatore e il console kazaki?
“Sarebbe senz’altro opportuno e sarebbe già dovuto accadere, non è accaduto perché, come dicevo all’inizio, l’Italia e il nostro governo hanno dimostrato una sovranità limitata. Non è accaduto perché evidentemente il nostro governo non è in grado neppure di alzare la voce di fronte ad un signore, come l’ambasciatore kazako, che al nostro ministro degli Esteri, che cercava di convocarlo alla Farnesina, ha fatto dire di essere in vacanza”.