Non una parola. L’altro giorno un agente della polizia penitenziaria in servizio nel carcere romano di Rebibbia viene trovato impiccato nel garage di casa; si accerta che si era tolto la vita quattro o cinque giorni prima. Le ragioni che possono aver indotto A.D.M. a farla finita possono essere le più varie. Ma è azzardato ipotizzare che forse non siano del tutto estranee le condizioni in cui lavorava, quello che ogni giorno, al di là della sua volontà e della volontà dei suoi colleghi, era costretto a vedere, subire, sopportare, forse perfino “fare”? E’ un interrogativo, un sospetto. Ad ogni modo, è il sesto caso dall’inizio dell’anno.
Ogni giorno è un bollettino di guerra: da Piacenza la notizia che nel locale carcere sono stipati 313 detenuti dove al massimo dovrebbero essere 178. A Teramo sono 401 dovrebbero essere 300; in compenso il personale di polizia penitenziaria conta 160 unità, dovrebbero essere 220. In Lombardia la situazione è disperata e disperante, il garante regionale dei detenuti Donato Giordano invoca l’amnistia e il contestuale alleggerimento del lavoro delle Procure depenalizzando “tutta una serie di reati leggeri o prevedendo vere misure alternative che al momento non vengono concesse”. Le cifre: in Lombardia complessivamente i detenuti sono 9.228, la capienza delle 19 carceri lombarde è di 6.051. A Rimini la locale Camera Penale denuncia la situazione del carcere: “Detenuti in condizioni disumane tra topi, scarafaggi, celle allagate e sovraffollate…Celle allagate, aria irrespirabile, topi scarafaggi che circolano indisturbati e per finire l’incubo di un’epidemia di scabbia…”. A Verona è un sindacato della polizia penitenziaria, il SAPPE, a denunciare “una situazione intollerabile…carenze strutturali specie nell’area adibita all’ora d’aria e di sicurezza considerato che in più occasioni, nel gioco delle turnazioni un solo agente è chiamato a controllare un intero reparto…”. 450 i posti disponibili, 900 i detenuti, 300 agenti, di cui 45 in malattia, “vittime dello stress”. A Napoli un detenuto rinchiuso a Secondigliano si impicca, era un “invisibile”: un tunisino quarantenne, stava scontando una pena per un reato legato alla droga. Emilio Fattoriello, segretario nazionale del SAPPE: “Si tratta della quinta morte all’interno delle carceri campane in pochissimo tempo: quattro suicidi e una morte per cause naturali”…
Di tutto questo ne parla, ne scrive qualcuno? E a proposito di quello che non si legge, non si scrive. Alzi la mano chi ha avuto la possibilità di leggere quello che sostiene Roberto Speranza, presidente dei deputati del PD. Dice che “dovremmo dire con parole chiare che in Italia esiste un problema di abuso di carcerazione pentiva, e ignorare questo problema significa, ancora una volta, fare la figura delle sfingi. Se poi dobbiamo andare avanti nel ragionamento io arrivo a dire che nel nostro paese esiste un equivoco sulla funzione del carcere. Il carcere non ha solo una funzione punitiva, ma anche riabilitativa. E mi permetto di dire di più: nel rispetto totale delle vittime dei reati io credo che il nostro partito, per onorare la funzione riabilitativa del carcere, dovrebbe aprire una riflessione su un tema importante: l’abolizione dell’ergastolo. E la famosa lezione di Aldo Moro del 1976 credo sia davvero un punto da cui partire”.
Auspicio che si sottoscrive, e sfida da raccogliere, evidentemente. Nei fatti già lo si fa, se è vero che nel pacchetto dei dodici referendum per i quali i radicali e altre formazioni politiche stanno faticosamente raccogliendo le firme, ce n’è uno che, per l’appunto, riguarda l’abolizione dell’ergastolo. Comunque, parliamone; e soprattutto informiamo.
Come occorrerebbe informare della solitaria iniziativa assunta dal parlamentare PD Sandro Gozi. Sostiene che si consuma “un abuso della custodia cautelare che è pari al 25 per cento dei detenuti contro una media europea del 10 per cento. Di fronte a una situazione dl genere amnistia e indulto evidentemente non bastano. Snza di essi, tuttavia, non riusciremo ad uscire da questa situazione di piena illegalità…”.
Dobbiamo, chissà, fare appello al papa Francesco…Che anche lui figlio di emigranti, venuto da “quasi la fine del mondo”, si presenti in una delle tante Lampeduse carcerarie del paese, e chieda lui scusa per noi, e invochi “mai più”, visto che la classe politica, non sa, non vuole, incapace come sembra essere di intendere, ma non di volere.