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Barca – Civati discutono del Pd. Il congresso entra nel vivo

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Pensando di far cosa utile a chi voglia seguire le vicende congressuali del Pd, pubblico le osservazioni di Barca sulle posizioni di Civati. I due si sono incontrati, ieri, a Reggio Emilia. Da parte mia osservo che se il Pd diventasse quello che chiede Barca, geniale sintesi tra intellettuale collettivo, associazionismo e volontariato, certo, le primarie potrebbero servire per scegliere il candidato premier, il candidato sindaco, forse il candidato da eleggere nel collegio uninominale, ma non c’entrerebbero nulla con la scelta del segretario. Il nostro problema è, tuttavia, quello di smantellare una macchina partito, sempre più separata dalla società ma onnipresente quando si tratta di “scegliere” amministratori, rappresentanti, dirigenti pubblici. Propongo da tempo un coordinamento tra tutte le forze che contestano la prassi burocratica e lottizzatoria in auge nel Pd. Ha detto (cito a memoria) il senatore Corsini: è un paradosso che il partito impersonale sia attraversato da cordate personali. Qui sta il punto del prossimo congresso. Chiunque applauda idee innovatrici e di sinistra, mostri di voler fare qualcosa per cambiare questa prassi inerte. Che continua a funzionare anche in assenza di idee e di leader. Ecco il testo di Fabrizio Barca.

“Se solo si riuscisse a discutere così nelle prossime settimane e mesi potrebbe persino accadere che il Pd prenda a rinnovarsi davvero.

E’ questa la reazione ai commenti di Civati sul Catoblepa con cui parto per Reggio Emilia. Sapendo che lì parleremo soprattutto di identità di sinistra e visione. Ma, intanto, che se si vuole bene governare bisogna costruire un partito “scientifico e organizzato”, come lui scrive.

Non mi soffermo sulle molte cose su cui concordiamo. La necessità di una leadership collettiva. La centralità dei circoli come luogo di confronto. La rete come strumento per il loro collegamento, per l’apertura del confronto, per condividere dati. L’utilità di “bussare alla porta degli elettori” (“non solo il giorno prima delle elezioni”). La necessità di rovesciare la piramide, eleggendo prima gli organi direttivi dei circoli. La separazione fra partito e Stato.

Tocco, piuttosto, due punti di disaccordo (apparente, in un caso).

Primo: “I vertici di un partito dovrebbero essere votati dagli aderenti a quel partito”. E’ il mio convincimento che Civati non condivide.

Per tre ragioni. Perché rappresenta una chiusura rispetto all’universo degli elettori delle primarie (i “mitici” tre milioni). Perché molte, troppe, iscrizioni sono taroccate. Perché il segretario, anche se non fosse candidato premier, dovrebbe essere “leader riconosciuto da milioni di elettori”.

Per misurarsi con queste obiezioni dobbiamo partire dalla missione di un segretario e dall’incentivo che lo spinge ad attuarla. La missione è governare, con altri, l’associazione-partito in modo che essa raggiunga l’obiettivo sociale: produrre una visione e soluzioni pratiche per un buon governo del paese e selezionare persone che sappiano attuarle, premier incluso.

Sono così evidenti due cose. Che ad eleggere gruppo dirigente e segretario debbano essere coloro che all’associazione in un modo o nell’altro partecipano e hanno dunque informazioni dirette per valutare competenze e capacità di leadership dell’associazione. E che quegli stessi soggetti, per frequentazione e motivazione, sono i guardiani del suo effettivo operato, quelli i cui giudizi il segretario sentirà quotidianamente sulla propria pelle. Che lo faranno “rigar dritto”.

Se così stanno le cose, allora alle obiezioni si può rispondere.

Che il segretario non deve essere leader degli elettori, che non conoscono – se non frequentano il partito – le sue doti di capo dell’associazione, né hanno motivazioni adeguate per “stargli sul collo”. E che non agli “iscritti” va riservato il voto, bensì ai “partecipanti”: coloro che, iscritti o meno, prendono parte all’associazione. Sono questi ad avere conoscenza e motivazione per selezionare e controllare i dirigenti dell’associazione. Come in ogni associazione ! Non, dunque, di “chiusura” si tratta, ma di un partito che torna ad essere di chi ci si impegna. Un elettore non iscritto? Benissimo, se nel partito o col partito ha svolto un impegno, che non consista solo nel “fare la tessera” o “fare la fila al gazebo”. (Fila al gazebo che, sia chiaro, è invece assolutamente sufficiente per partecipare a una primaria per i candidati a posizioni istituzionali).

Il che mi consente di toccare il secondo punto di disaccordo. E scoprire in realtà che non è tale.

Teme, Civati, che la mobilitazione cognitiva che ho in testa sia tutta dentro il partito. Cosa che sarebbe in contrasto con il fatto che “il partito non tornerà a riassumere al suo interno la complessità del mondo esterno”.

Condivido il giudizio di Civati. E infatti non credo affatto che la mobilitazione cognitiva sia o possa essere solo interna. Esistono e godono di buona salute – per fortuna! – fuori dai partiti associazioni impegnate attorno a temi specifici, che mobilitano cittadini di ogni parte della società e molti, molti giovani, e che sono – scrivo nella memoria – “caparbiamente indipendenti”. Producono idee e beni collettivi. Il Pd deve raccogliere la loro conoscenza. Essere aperto alle loro idee. Accogliere e stimolare la partecipazione dei loro associati. E’ una condizione indispensabile del partito palestra di questo secolo.

Non si tratta in conclusione di inventare formule o alchimie statutarie. Ma neppure di saltare a piè pari il confronto sulla forma partito in nome dell’urgenza di governare. Si tratta piuttosto di disegnare un partito che serva davvero a governare.”

da corradinomineo.it


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