VERSO IL CONVEGNO DEL 2 LUGLIO AL CNEL (Art.21/Fondazione Di Vittorio) – Se c’è una parola che sopporto poco è la parola crisi. Viene usata troppo facilmente, e a me pare sempre più un modo per affondare i problemi, allontanarli, eluderli e non provare ad affrontarli e a risolverli. E’ una parola breve, di due sillabe ma di terribile importanza. Perché basta pronunciarla e tutti coloro che controllano il potere si spaventano, si autoassolvono, allargano le braccia, guardano il cielo e non fanno nulla. Io so bene che se i finanziamenti pubblici diminuiscono, se è sempre più difficile costruire uno spettacolo teatrale di qualità nel nostro Paese, se è sempre più impervia la distribuzione e la diffusione degli spettacoli stessi, questo dipende poco dalla mitica parola crisi, ma molto di più da ciò che è avvenuto negli ultimi 20 anni. Quello che io imputo al modello berlusconiano non è tanto la simpatia per le “signorine” e per altre amenità del genere, ma di aver annientato le prospettive culturali, le ansie culturali, gli orizzonti culturali e di avere pistolettato l’utopia.
La cultura senza utopia rischia la morte per affogamento. E, aver contribuito, a impoverire di contenuti questi ultimi vent’anni, non importa se consapevolmente o inconsapevolmente, è stato un crimine.
E’ chiaro che sono diminuite le risorse pubbliche anche grazie a politiche a volte avventurose e a volte superficiali, a volte ricche di incompetenza, e di questo non è colpevole soltanto Berlusconi. In ogni caso l’incuria della politica e delle istituzioni ha seriamente contribuito a far diminuire l’entusiasmo creativo, il lavoro di gruppo, il provare a inventare e a sperimentare.
I Teatri pubblici, pur con qualche lodevole eccezione, sono fermi, spesso stanchi e ripetitivi e alcuni addirittura vivono solo di autocelebrazioni.
Il Teatro privato che paradossalmente nel passato era quello che inventava di più e favoriva nuove identità e forze creative, a causa di un modello televisivo imperante, ha perso la sua originalità ed è finito nel migliore dei casi a replicare sia nella qualità che nella quantità il piccolo schermo.
Torniamo alla mitica parola crisi e al rapporto tra Rai e spettacolo dal vivo. La nascita di Rai cinema nel 2000, favorì la riscossa del cinema d’autore. La maggior parte dei grandi registi italiani hanno tirato il fiato e continuato a lavorare grazie a Rai Cinema. Pensiamo poi agli esordienti! Più di 150. Se non ci fosse stato l’intervento virtuoso della Rai sarebbero rimasti a chiacchierare al bar della loro opera prima con qualche amico. Per quel che riguarda i documentari e lo rivendico orgogliosamente, perché me ne sono occupato in prima persona, con una produzione di almeno 15 titoli l’anno, ho riportato Rai e Rai cinema al centro dell’ attenzione nazionale e internazionale. Qualche esempio?
Madri di Barbara Cupisti ha vinto il David di Donatello; Ward 54 di Monica Maggioni ha vinto al Festival di Biarritz il Premio Opera Prima nella categoria Film; Fratelli e sorelle di Barbara Cupisti ha vinto il Premio Flaiano per la televisione e il Premio Ilaria Alpi ; Cesare deve morire dei fratelli Taviani ha vinto l’Orso d’Oro a Berlino e il David di Donatello. E potrei continuare…
Veniamo alla mia proposta. Se esiste rai cinema, che, ripeto ha dato ossigeno e nuova vita al cinema italiano d’autore perché Rai non può fare il lodevole virtuoso sforzo di creare Rai Teatro? Un canale tutto dedicato allo spettacolo dal vivo dove si potrebbe coprodurre con strutture pubbliche e private, spettacoli di qualità investendo denaro pubblico in un settore che ne ha sempre più bisogno. Contemporaneamente si potrebbe valorizzare tutto il repertorio dello spettacolo dal vivo che le teche hanno mirabilmente conservato come memoria storica della grande Rai che fu.
Se a qualcuno interessa, io ho studiato il problema in tutti i suoi dettagli, ho pronto un progetto preciso. Sono convinto che Rai 5 potrebbe fondersi con Rai 4 e lasciare il suo spazio di canale a Rai Teatro.
Credo che amministratori oculati e avveduti dovrebbero dare una risposta dal servizio pubblico all’ormai morente situazione dello spettacolo dal vivo nel nostro paese. Secondo me la Rai ha l’obbligo di investire in cultura. L’obbligo dico. E vi assicuro che è molto più facile di quello che sembra e che eventuali lacci e lacciuoli si possono tagliare anche con una piccola forbice, basta la volontà e la convinzione che il nostro paese, erede delle più importanti tradizioni culturali nella storia dell’uomo, ha non solo un passato da preservare ma un futuro sul quale investire.
* Presidente del Teatro di Roma e ex Presidente di Rai Cinema