Continuano anche oggi gli scontri in Turchia. A Istanbul è ancora alta la tensione dopo gli incidenti proseguiti nella notte. Ankara minaccia l’uso dell’esercito. L’assemblea Ue ha approvato giovedì scorso una risoluzione molto critica nei confronti di Ankara ed Erdogan ribatte di non riconoscere l’Europarlamento. Qual è in questo contesto il ruolo dell’informazione sulla crisi turca? Come se ne stanno occupando i media? E come dovrebbero seguirla? Ne parliamo con Monica Maggioni, direttore di Rainews24, la all news della Rai, che dall’inizio della protesta sta seguendo ininterrottamente l’evolversi (e l’involversi) della complessa vicenda turca.
Come si legge la complicata situazione turca?
Non è facile interpretare la fase attuale. E’ chiaro che sono stati fatti errori di valutazione da parte di Erdogan e dei suoi sulla reazione della piazza; e non è immaginabile che un movimento di questa forza possa essere zittito con lo sgombero violento di una pazza. Ora la stampa internazionale ha deciso di aprire gli occhi, pur con enorme ritardo, e questo complicherà ancora di più l’operazione di Erdogan che vorrebbe silenziare al più presto queste voci.
Dici che l’informazione se ne è occupata in ritardo. Il dramma turco interessa meno delle tematiche di casa nostra?
L’informazione italiana non prende sotto gamba solo piazza Taksim ma tende a farlo con l’intero mondo! Dobbiamo al contrario renderci conto che ciò che accade nella piazza di Istanbul in realtà sta avvenendo in una piazza italiana: che la Turchia sia o no Europa, se non capiamo che quello che accadendo in questo Paese influenza direttamente la nostra vita quotidiana vuol dire che abbiamo una visione completamente distorta.
Non esiste più il mondo ottocentesco dove le barriere avevano un senso (e anche in questo caso ci sarebbe molto da dire…) Ma probabilmente un secolo fa, quando la globalizzazione era di molto inferiore, quando i contatti erano ridotti, c’era paradossalmente più attenzione al mondo. Oggi abbiamo tutti gli strumenti per raccontarlo giornalmente e far capire quanto tutte le vicende siano interconnesse. Eppure continuiamo ad avere un linguaggio residuale, periferico, provinciale. Ci appassioniamo in modo furibondo a quattro proclami dell’ultimo politico comparso sulla scena e decidiamo che una vicenda come piazza Taksim può meritare, se capita, un pezzo di cinquanta secondi o una manciata di righe. Sarà perché ho trascorso i tre quarti della mia vita giornalistica e professionale fuori dai nostri confini, ma non riesco a concepire così il nostro mestiere.
In che modo Rainews24 ha seguito le vicende della Turchia?
Da dieci giorni, da quando la protesta ha mostrato tutta la sua problematicità, siamo ininterrottamente su piazza Taksim. Con la nostra inviata Liana Mistretta abbiamo fatto lunghe, lunghissime dirette: la notte dello sgombero (sabato scorso, ndr) non abbiamo di fatto mai interrotto il nostro sguardo su piazza Taksim. Liana era lì con i manifestanti, insieme a quelli che venivano soccorsi e con i medici che sono poi stati arrestati dalla polizia per aver aiutato i feriti della manifestazione. Siamo lì anche in una giornata come oggi e continueremo a starci perché, anche e soprattutto in questo caso, l’all news del servizio pubblico ha dimostrato di essere il mezzo ideale per raccontare in diretta una situazione così complessa e in evoluzione costante di ora in ora.
Oggi un fotografo italiano è stato fermato. Nei giorni scorsi sono numerosi i cronisti che sono stati bloccati, minacciati, perseguitati. L’informazione è una delle prime vittime delle situazioni di crisi?
Lo è da sempre. Aggiungo però una riflessione: auguro ovviamente a Daniele Stefanini di essere rilasciato immediatamente; ma è una “fortuna” – lo dico ovviamente in tono provocatorio – che abbiano fermato un fotografo italiano: purtroppo è solo quando c’è di mezzo un nostro connazionale che ci rendiamo conto che esiste un problema che riguarda i giornalisti e la libertà di stampa. Quando però ad essere zittito in qualsiasi angolo del mondo è un giornalista che non ci riguarda direttamente la consideriamo una notizia residuale. E invece stiamo parlando di giornalisti che per raccontare e dare notizie mettono quotidianamente a rischio la propria vita.
L’informazione è gravemente penalizzata anche per ragioni “economiche”. Ci sono televisioni pubbliche che vengono chiuse con il conseguente licenziamento di migliaia di dipendenti.
Una situazione come quella della tv greca dovrebbe far provare un brivido di terrore nella schiena a tutti, non solo ai colleghi che in pochi minuti si sono dovuti alzare dagli studi dove qualcuno aveva oscurato il segnale…
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