Si chiama Ceyda Sungur ed è una ragazza normale, vestita in un abitino estivo rosso che le lascia scoperte le gambe e con una borsetta di stoffa che porta sulla spalla. Sembra capitata per caso in quella rivolta che da giorni sta trasformando Istanbul in un campo di guerra. Si trova in mezzo a quella manifestazione, nata per contrastare l’abbattimento di alcuni alberi in un giardino pubblico e che in breve si è trasformata in una protesta contro il regime autoritario di Erdogan, che immediatamente è stata ribattezzata Occupy Gezi e che in rete ha generato moltissimihashtag per tenere aggiornato il mondo, nonostante il silenzio e l’indifferenza dei media, su quello che succede in un angolo non troppo lontano.
Ceyda Sungur sta lì per scelta, perché la protesta è pacifica ed è giusta. E resta lì anche mentre un poliziotto bardato e riparato dietro un casco e qualche autorizzazione legale le spara contro del gas urticante. Ma lei non si scompone e resiste. È un attimo, un fotogramma che fa il giro del mondo e diventa il simbolo dell’intera manifestazione. «Questa foto incapsula l’essenza di quello che significa la protesta: la violenza della polizia contro dei pacifici dimostranti, gente che sta solo provando a difendere loro stessi e quello in cui crede», dice uno studente di Matematica all’Indipendent.
È ancora una volta la vittoria di Davide su Golia, come fu per piazza Tienamen quando un solo piccolo uomo era stato in grado di arrestare una fila di giganteschi carriarmati semplicemente parandovisi davanti. Oggi a Gezi Park il grande e il piccolo non sono distinguibili sul piano fisico e allora il simbolismo si sposta su un altro piano. Il grande è forte perché armato, protetto dal casco e dai comandi di chi gli è gerarchicamente superiore che gli intima: «Tolleranza zero»; il piccolo è una donna, per di più vestita da donna, che non ha spranghe o pistole alla mano ma solo la forza delle sue idee e il coraggio di chi sa che sta dalla parte del giusto. Quando a Ceyda Sungur rivelano di essere diventata un simbolo mondiale lei risponde così: «Molte altre persone non diverse da me stanno qui a difendere il parco, a difendere i loro diritti e la democrazia. Anche loro sono stati ricoperti di gas urticante». In un attimo il focus si riallarga di nuovo e, nel rifiuto che una strumentalizzazione possa distogliere l’attenzione dalla protesta, la donna in rosso è ancora magicamente anonima, senza un volto, perché quel fotogramma torna a rappresentare gli ultimi, i calpestati, i coraggiosi che resistono e si fanno grandi quanto più gli si spruzza contro.
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