Oggi 14 giugno il Consiglio dei ministri Affari Esteri si occuperà del trattato commerciale Europa-Usa. Si tratta dell’accordo più importante e più atteso, nel quale si cercherà di regolamentare l’afflusso e la difesa di merci e prodotti. Nelle scorse settimane, dopo una accesa discussione, il Parlamento europeo ha votato per l’esclusione dal Trattato del comparto dell’industria culturale e dell’audiovisivo Un’esclusione già sperimentata in tutti i trattati commerciali stipulati dall’Unione europea in questi anni. Considerare la cultura come una merce? Piegarsi agli interessi delle major statunitensi? La salvaguardia delle specificità culturali europee è valore fondante dell’Europa, codificata dal Trattato dell’Unione e dalle Convenzioni. Cosa accadrà, ad esempio, quando si passerà a discutere di Internet? Cosa metterà sul tavolo l’Europa quando tutti gli attori globali sono nordamericani? Il Parlamento europeo, anche su iniziativa della Delegazione del Pd, si è espressa contro l’indicazione della Commissione europea di includere il settore culturale nel Trattato. Ora, però, la parola passa al Consiglio dei ministri e domani nella riunione dei ministri europei Affari Esteri sarà detta l’ultima parola. Il governo italiano, su indicazione dei ministri Bonino e Zanonato, sembra intenzionato ad assecondare l’indicazione della Commissione europea. Ecco perché oggi, insieme all’on. Silvia Costa, che ha svolto un importante ruolo nella commissione Cultura del PE anche su questo dossier, abbiamo scritto una lettera aperta ai ministri italiani per sollecitarli ad una ulteriore riflessione e a tener conto delle posizioni espresse da tutta l’industria culturale italiana – aziende tv, beni culturali, produttori, internet, registi, intellettuali, attori – favorevole all’esclusione culturale dal nuovo Trattato.
Spero di farvi cosa gradita allegando la lettera aperta pubblicata oggi su L’Unità.
Cari ministri Bonino e Zanonato,
ci risulta che il governo italiano si presenterà domani al Consiglio dei Ministri europeo Affari esteri, consentendo alla Commissione di includere nell’accordo commerciale Unione europea-USA anche i prodotti e i servizi culturali e audiovisivi. Una scelta che appare rischiosa e francamente inconsapevole dell’impatto che avrà su beni europei fondamentali.
Non basteranno certo all’interno di un così esteso e complesso negoziato tre “red lines” per garantire condizioni effettive a tutela della diversità culturale e linguistica europea. Una linea di mediazione che in realtà diventa un rilevante arretramento e di fatto un consolidamento dell’attuale posizione dominante degli USA in termini tecnologici, finanziari, di mercato e quindi di produzione di contenuti.
Non intendiamo ripercorrere qui le ragioni che in questi mesi sono state rappresentate dal mondo della cultura, sostenute anche dal ministro Bray, ma piuttosto sottolineare che presentarsi al tavolo negoziale con un atteggiamento possibilista potrebbe rivelarsi fatale per la stessa sopravvivenza dell’industria culturale europea.
È quanto stava per accadere nel Parlamento Europeo quando siamo stati chiamati ad esprimere un indirizzo alla Commissione europea sul negoziato. Il tema della cultura e dell’audiovisivo, che pure incontrava la sensibilità di molti colleghi, era stato sottovalutato al punto che, senza un’azione decisa degli europarlamentari PD e successivamente del gruppo S&D, non si sarebbe raccolta l’ampia maggioranza poi riscontrata nel voto del 23 maggio in favore dell’esclusione di questo comparto dal negoziato.
È fondato il timore che, al tavolo finale della trattativa UE-USA, il settore della cultura e dell’audiovisivo diventerà marginale rispetto a grandi interessi economici ed occupazionali, e quindi sarà sacrificato ad altri comparti. Come sarà possibile difendere l’industria culturale europea se non avremo più un’industria degna di questo nome? Senza l’esclusione culturale dal negoziato, come indicato dall’europarlamento, renderemo astratti i principi della Costituzione europea e delle Convenzioni Unesco sulla tutela e promozione della diversità culturale e linguistica e sul patrimonio tangibile e intangibile europeo.
Il problema non è la garanzia che saranno mantenute le quote di produzione europee nelle nostre televisioni, secondo quanto prevede la Direttiva UE 2010 sui servizi audiovisivi. Il problema è la rete, e gli Over The Top, ovvero i grandi operatori di internet, tutti ‘made in USA’ e che utilizzano gratuitamente la nostra rete TLC, non pagano le tasse in Europa, non hanno regole di reinvestimento in prodotti culturali europei e costringono gli operatori europei a pagare salate royalties per inserire apps culturali. Stiamo parlando di Google, Apple, Yahoo, Amazon, Facebook. L’Europa, invece, si presenterebbe a questo negoziato a mani nude, senza neppure una normativa che definisca cos’è un prodotto culturale e audiovisivo on line, quali regole giuridiche e fiscali devono essere applicare agli operatori della rete, senza aver approvato la direttiva sul diritto d’autore europea, né sulla privacy, né un regolamento sulle connected tv.
Non è certo sufficiente la terza “linea rossa”, individuata dal ministero del Commercio Estero italiano, per cui l’Europa sarebbe comunque “legittimata” a dotarsi di una normativa adeguata sulla rete. Certamente questo è nelle prerogative dell’Unione Europea, ma è ben strano che si apra per la prima volta un negoziato commerciale bilaterale ai prodotti culturali e audiovisivi con il paese più importante del mondo, prima di aver adeguato la propria normativa.
E questo, in un momento in cui le major americane stanno imponendo lo’ switch off’ tecnologico verso il digitale, con la conseguente prevista chiusura del 25-30% delle sale cinematografiche europee, proprio quelle dei centri storici, delle sale d’essai, delle associazioni e dei piccoli centri. Con buona pace della tutela e della promozione della identità e diversità culturale europea… Crediamo che il governo sia ancora in tempo per una ulteriore riflessione ascoltando, in special modo, le aziende e i protagonisti della cultura italiani e europei,
cordialmente Silvia Costa e David Sassoli.