Rompiamo il silenzio. Il caffè del 26 giugno

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Enrico Letta è di Pisa e da ieri fa tutt’uno con la Torre, simbolo della sua città. Pende – si vede bene –  ma forse non cade. “Il governo è sotto assedio”, scrive il Corriere della Sera. Poi aggiunge: “Berlusconi vede Letta: clima cordiale”. “Accordo sull’Iva. F-35, lite nel governo”, la Repubblica preferisce buttare la palla in angolo e ci fa sapere che, come che vada, sul governo piovono guai: “8 miliardi di perdite dai derivati anni 90”. Il Giornale passa dalla “macelleria” di ieri a un odierno “un piano B”, dai contorni fumosi. Pare di capire che si riferisca all’apertura del dibattito sul governo (Minzolini lamenta che Letta non faccia altro che “rinviare”) e a Giuliano Ferrara, che è andato in piazza in difesa delle puttane e di Silvio. È andata anche la Pascale: “non sono una puttana”. Tanto per chiarire. Mentre il Fatto constata: “Epifani non si vergogna di governare con Berlusconi”.

Cominciamo proprio da qui. Berlusconi ha imbucato davvero – io credo – la strada che lo porterà fuori scena: sputtanato in tutto il mondo, già condannato a 12 anni e in attesa di altre sentenze che non gli sorrideranno, con un partito che non ama e di cui, in fondo, non sa che farsene, se non lasciarlo in eredità alla figlia Marina, che gli ricorda sempre più la madre, Rosa. Dunque, cinicamente – la politica non è  un pranzo di gala -, sarebbe venuto il momento di togliere la spina, se non a Letta alle intese con B. Già, ma si dovrebbe avere un’idea diversa. Di nuovo in ginocchio da Grillo, per farsi umiliare di nuovo? Non si può. Legge elettorale e poi al voto? L’estate incombe. E poi chi lo dice a Letta? Chi a Napolitano?  Per tacere del congresso. Civati e Cuperlo faranno la loro parte, ma è Renzi che si sta preparando a sbancare il Pd. Gli serve del tempo. Meglio prender tempo.

Non è geniale, ma è così. Certo sarebbero da evitare inutili sciocchezze, come quella del prode Boccia, che per difendere gli F-35, li ha persino trasformati in elicotteri. Meglio votare contro l’acquisto degli aerei costosi e inutili, come Bersani aveva promesso in campagna elettorale. E se il ministro Mauro si dovesse dimettere, Letta potrebbe fare come con la Idem, “redistribuire” le deleghe. Della difesa! Voglio dire che c’è differenza tra il prender tempo e il non far nulla.

Ieri al senato ho ascoltato con attenzione Enrico Letta che parlava di Europa e di economia. Si aspetta novità interessanti sul contrasto dell’evasione fiscale e qualche apertura sul tema centrale del lavoro per i giovani. Ma, paragonandosi  a un ciclista (sindrome Prodi?), ha detto che ora lo attende (e ci attende) la scalata più impervia. Fare qualcosa, anche senza soldi e con la paura di strappare. Salita durissima. Poi verrà la pianura – si spera – e infine, attesissima, “la discesa”. Questa, secondo Letta, coinciderà  con il semestre di presidenza italiana dell’Europa. Luglio – dicembre 2014. Dopo le elezioni per rinnovare il Parlamento europeo.

Può il paese aspettare un altro anno? Può il governo andare avanti fino ad allora traccheggiando? Non può. Lo capisce anche Galli della Loggia: la sentenza Ruby, scrive sul Corriere, “suona come una ratifica della paralizzante immobilità sulla scena italiana”. Ma non lo capisce Napolitano. Non capisce (o almeno, sembra non capire) che il comitato per le riforme costituzionali è già zoppo prima di cominciare. (In commissione Affari Costituzionali voteremo qualcosa come 150 emendamenti al progetto di legge che ne chiede la costituzione e, nei prossimi giorni, si moltiplicheranno le pressioni per affrontare prima di tutto il nodo della giustizia). Ma non lo capisce neppure il centro burocratico del Pd, che si è accomodato nei ministeri o al vertice delle commissioni parlamentari, si è fatto bastare la messe di sindaci che il Pd ha raccolto (distogliendo lo sguardo dai segnali che vengono dall’astensione o da certe sconfitte, come Ragusa e Messina).

Io una proposta l’avrei. Civati e Cuperlo, Barca e Tocci, Puppato e Mineo, Marino e Pisapia, Bindi e Orfini si mettano intorno a un tavolo. Non per fare una corrente, che sono diversi. Ma per discutere del futuro del Pd e del tipo di partito che serve. Del governo, fino a che punto sostenerlo, come evitare che le larghe intese paralizzino ogni iniziativa parlamentare. Per discutere senza ipocrisie di Matteo Renzi e con Matteo Renzi. Per dirsi con franchezza come si sia passati dal “mai con Berlusconi” al “Berlusconi non faccia cadere il governo di larghe intese”. Magari per ascoltare un sunto de “il salto nel voto” di Diamanti, insomma per prendere atto di qualche dato sul terremoto elettorale che abbiamo alle spalle. Senza la pretesa di trovare un accordo su tutto, ma con l’ambizione di fare almeno uscire il confronto dalla palude dei silenzi e delle rimozioni. Non si può fare perché non esiste né un luogo, né un organo, né un precedente nei riti del partito? Però tolleriamo tutti i giorni che le correnti, informalmente, si sentano tutti i giorni e si spartiscano tutto. Via! Se, come temo, nessuno mi risponderà. Riprenderò a fare quel che sapevo fare. Passerò qualche settimana a porre a tutti le stesse domande. Quatti e zitti non si può restare.

Merita attenzione il “numero” regalatoci ieri da Grillo. Vuol cacciare i giornalisti dal Parlamento. Io che li so fastidiosi e arroganti e ignoranti (i giornalisti, o almeno molti di loro) trovo vergognoso che un leader politico – e tale è ormai Grillo – dica una cosa del genere. Vuole sostituire le domande, spesso sciocche talvolta scomode, con i clic plaudenti di chi lo segue in rete. Se questo è il nuovo, fatemi rimpiangere Emilio Colombo, che due giorni fa se ne è andato. Dopo aver presieduto con eleganza (che bel canto del cigno!) l’assemblea del Senato fino alla nomina di Grasso. In aula mi aveva detto: “Ti seguo. Non è che sia sempre d’accordo, perché sei troppo di sinistra”. Lei mi onora, gli avevo risposto. Ultimo Costituente, gran democristiano.

da corradinomineo.it


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