di Arnaldo Capezzuto
NAPOLI – Quattro arresti di persone vicine al clan camorristico Moccia, eseguiti su ordine della magistratura antimafia, confermano che a Casoria, città alle porte di Napoli, c’era un vero e proprio monopolio camorristico nel settore delle onoranze funebri
Proprio come avevano denunciato “Le Iene” in un servizio giornalistico andato in onda nel 2011. Durante la realizzazione di quel servizio la troupe del programma fu scippata di una telecamera poi ritrovata distrutta.
Gli inquirenti sono partiti da quell’episodio e dal servizio televisivo delle “Iene” dal quale emergeva il quadro di un sistema illecito fondato sul racket del “caro estinto”. Le indagini coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia hanno accertato che a Casoria anche morire era un lusso.
Un imprenditore vicino al clan Moccia aveva imposto un rigido monopolio nella gestione dei funerali. Un giro di denaro illecito da brivido. Gli investigatori oltre ai fermi hanno ordinato il sequestro di beni per un ammontare di dieci milioni di euro e di 61 unità immobiliari.
Il servizio giornalistico fu costruito da Alessandro Migliaccio, giornalista e uno degli autori del programma cult in onda su Italia Uno. Come sempre avviene per le “Iene” dopo la costruzione del servizio viene sul posto la troupe per il blitz. A Casoria con Giulio Golia c’era Alessandra Frigo autrice ma anche operatrice con il supporto defilato di Migliaccio che invece aveva una telecamera nascosta di appoggio.
Mentre appunto giravano avvenne lo scippo delle telecamera chiaramente furto finalizzato a far sparire le prove. “Mi avevano segnalato – racconta Alessandro Migliaccio ad Ossigeno – che le cose andavano così: a Casoria morire era diventato un privilegio di pochi. C’era una sola impresa funebre e lavorava praticamente in regime di monopolio.
C’era un paradosso assurdo: se il defunto abitava in via Nazionale delle Puglie lato Napoli i funerali avevano un costo, se invece il defunto risiedeva nella stessa strada, ma lato Casoria, si doveva pagare un importo anche cinque volte maggiore”. “Era chiaro che qualcosa non andava. Le indagini dell’antimafia hanno confermato ciò che sostenevamo noi: quel qualcosa era camorra”. “Ci sembrò strana anche la storiella del furto alla mia collega Alessandra Frigo delle telecamera mentre girava l’intervista nella sede delle pompe funebri.
Il ladro, poi arrestato, scappò da un’uscita secondaria interna alla sede dell’impresa. Mi chiedo: come faceva il balordo a sapere che c’era quella porta secondaria? Era un chiaro tentativo di bloccarci e impedire l’inchiesta giornalistica”.
“Il settore delle pompe funebri è particolare in Campania, ho trovato varie storie simili e le ho raccolte nel libro dal titolo emblematico “Che s’adda fa pe’ muri!” edito da Vertigo”. Alessandro Migliaccio è il cronista che – il 5 dicembre 2008 – ricevette in pieno volto uno schiaffone dall’allora comandante dei vigili urbani di Napoli Luigi Sementa infuriato con il giornalista per un articolo che criticava l’operato dei vigili. Peccato – si fa per dire – lo schiaffo venne ripreso dalla telecamera nascosta che indossava Migliaccio e le immagini fecero il giro del mondo.
“Con l’inchiesta sulle pompe funebri ho cercato di fare luce sul malaffare e sulla speculazione che circonda il mercato dei funerali e dei loculi, mostrando le gravi illegalità e i paradossi a volte sono grotteschi”.
“Il giornalismo vero – conclude Migliaccio – deve chiarire le cose poco chiare, essere dalla parte delle persone oneste. L’inchiesta giornalistica può aiutare a togliere il marcio dove ancora non sono arrivati gli inquirenti a fare pulizia e giustizia”.