A che serve la RAI? Chiudiamola, in Grecia l’hanno fatto! É una fonte di sprechi, troppa gente, che vadano tutti a casa. Questa la media dei commenti di questi giorni. Ed ecco spuntare uno che c’è sempre ai “piani alti”, qualche “governativo” che prende la palla al balzo e dice: “perché il servizio pubblico deve farlo la RAI, si faccia una gara”. Poi, resosi conto di essere stato troppo esplicito, si corregge: “bisogna fare come in Gran Bretagna con la BBC, un Royal Charte Act, cioè un contratto che impegni le risorse per il servizio pubblico ai risultati”. Già, peccato che non dica che quel contratto non é aperto ai terzi e lo fanno solo con la BBC. Da noi questo Royal Charte de’ noantri non si capisce che funzione avrebbe (o forse sì), visto che esiste una cosa che si chiama contratto di servizio, da tempo fermo nelle stanze del governo. Tempo fa, parlando in qualche convegno, sostenevo il pericolo per la RAI di vedersi scippare il servizio pubblico alla scadenza della concessione. Dicevo: “la normativa europea non é contraria e la nostra Antitrust già l’ha detto. Se non si riforma l’azienda qualcuno ci proverà”. Alcuni mi guardarono con sufficienza, soprattutto in RAI, oggi sommessamente l’invito a ripensarci. Qual é dunque il possibile scenario: si fa una gara improntata all’efficienza e non necessariamente unitaria, cosicché funzioni di servizio pubblico, ovviamente remunerate, possano essere assegnate ad altri operatori nazionali, ad esempio (é solo un esempio!) a Mediaset e Sky. Ora io capisco che tanti non ne possono più dell’andazzo RAI: un’informazione asservita, una qualità della programmazione discutibile, costi esorbitanti. Ma a questo punto l’azienda è stata portata dallo stesso sistema politico che oggi la vuole far fuori. Che dunque si debba cambiare non c’è dubbio. Ma un conto è cambiare, un altro è dare il servizio pubblico in mano ai satrapi della TV. Il governo per quale motivo non si impegna, come peraltro aveva promesso il PD in campagna elettorale, nella riforma della RAI? Domanda retorica vista l’immanenza devastante del conflitto di interessi. Quanto poi all’oggetto del servizio pubblico che come un novello Diogene qualcuno fa finta di cercare, basterebbe far mente locale su due concetti: quello di bene comune; quello della convergenza. Il primo riguarda l’idea che l’informazione è un diritto di tutti e che il suo maggior presidio è in un servizio pubblico autenticamente pluralistico (cfr. la bella proposta di riforma della RAI patrocinata da Move On). Il secondo attiene al ruolo della RAI su internet mediante l’utilizzo del suo grande patrimonio tecnico. Una presenza in termini di contenuti propri e come soggetto in grado di fornire l’ambiente favorevole per le forme di informazione “dal basso”, il c.d. citizen journalism, frontiera inevitabile del prossimo futuro.