Dobbiamo uscire dall’essere “casta” anche Noi giornalisti. Usando maggiormente il “Noi” e non rifugiarci e fare rifugiare che ci legge dietro i personaggi. Non ho dubbi nel dire che questa deve essere la ricetta per uscire dal buio momento che viviamo e che soprattutto vivono i giornalisti delle periferie, quelli sui quali non si accendono i riflettori se non quando diventano loro malgrado protagonisti di gravi fatti. Per parlar chiaro e per parlare di una persona che oggi giustamente viene premiata a Roma, di Giovanni Tizian molti se ne sono accorti solo dopo che è entrato nel mirino delle mafie, ma mi chiedo se per fare scoprire il giornalista coraggioso, con la schiena diritta, serva per davvero che questi si trovi a subire una grave minaccia o ancora subire, con effetti indubbiamente diversi, tragici ma meno tragici di una intimidazione facendo sentire il rumore delle armi, una cosidetta “querela temeraria”. Questa nostra Italia sebbene indietro nelle classifiche internazionali dell’informazione, paese sudamericano da tanti punti di vista, e non solo per come considera e tratta l’informazione, è terra fortunata per i grandi nomi che ilo giornalismo ha avuto ed ha ancora, per quei giornalisti morti ammazzati, per quelli che sono sfuggiti alla vendetta delle mafie, e non solo delle mafie, per quelli che restano, che sono rimasti, che in periferia scrivono del boss, o del politico sciagurato, sapendo bene che mettendo il naso fuori da casa o dalle redazioni possono pure incontrare le persone delle quali scrivono a tu per tu. Allora paradossalmente si tratta spesso di giornalisti che forse 20 anni addietro, o anche meno, avrebbero avuto il destino segnato, oggi no, paradossalmente c’è una società “collusa” che li salva. Oggi soprattutto in periferia c’è una società (sic) civile che gira le spalle all’informazione che vuole informare e preferisce quell’altra che si limita a fare da tappetino, oppure non c’è nemmeno bisogno di questa per dire che l’informazione che fa informazione non racconta la verità ma solo bugie. Contro questi giornalisti funziona l’arma del discredito, della gratuita ignominia , dell’isolamento, in Sicilia questa operazione si chiama “mascariare”, cioè sporcare, per decenni ha funzionato per offuscare molte delle vittime uccise dalla mafia che venivano uccisi una seconda volta, quante storie di magistrati, giornalisti, agenti, che si è sentito dire essere stati uccisi per questioni di “corna” ma non era così, oggi questo sistema funziona lo stesso, la mafia non uccide più con le armi, ha altri poteri per mettere da parte e isolare chi dà fastidio. Ecco di questi cronisti di periferia tutti gli altri giornalisti spesso si dimenticano, ma tanti potrebbero essere personaggi tanto quanto gli altri che vivono sotto i riflettori e che spesso in modo irrituale vengono tirati in ballo come opinionisti. Ma quelle opinioni, quelle verità, che vengono sbandierate arrivano dalle periferie dell’Italia, da quei giornalisti che nessuno conosce e che non dobbiamo augurarci vengano conosciuti alla solita maniera delle minacce o delle querele. Ecco dobbiamo uscire dall’essere casta anche noi nel senso che in periferia qualche luce in più va accesa, e vanno dissuasi coloro i quali, nelle professioni, nella politica, pensano di potere usare l’informazione a loro piacimento. Indubbiamente Libera Informazione, Articolo 21 questo lo stanno già facendo e mi riferisco ai premi giornalistici che ogni annoi vengono organizzati e a me viene immediatamente in mente il premio dedicato al “mio” direttore, di Libera Informazione, Roberto Morrione. Ma altro bisogna fare. In Italia è rara l’applicazione di contratti di lavoro per la professione giornalistica, in Sicilia, nel Meridione, questa circostanza è oltremodo rara, eppure è un pullulare di giornali free press oltre a quelli storici, di tv e radio, il digitale penso che abbia fatto molto danno in questo senso, moltiplicando fonte di informazione però malfatte, che servono solo a racimolare contributi, pubblici o privati, e non a garantire occupazione e informazione corretta. Se qualcosa di nuovo bisogna fare serve partire dal conoscere in modo esatto la realtà giornalistica che c’è nelle periferie italiane, i contratti applicati, come si pagano i giornalisti, sotto quale genere di ricatto vengono tenuti giornalisti giovani o non più giovani. Io diffido molto quando ascolto qualcuno che rivendica libertà di informazione, tranne che non sia qualche giornalista di Libera Informazione, ma certamente non ci sarà mai libertà di informazione in quei giornali o in quelle tv dove non ci sono contratti di lavoro applicati, dove i giornalisti vengono trattati come optional, pagati in nero. Quella è una informazione che finisce col piacere alla nuova mafia, che ha saputo inquinare le istituzioni figuriamoci che non riesca a inquinare un giornale, una emittente televisiva o radiofonica. E così come i palazzi delle istituzioni sono stati inquinati per la complicità di burocrati e politici, l’informazione la si inquina intanto per l’intreccio, per la stretta mortale, esercitata da editori, burocrati e politici, ma anche per l’asservimento diretto o indiretto dei giornalisti. Non serve un giornalista affiliato, punciutu, serve un giornalista che quando fa la cronaca giudiziaria scelga come fonte l’avvocato del boss invece che il pm, e il gioco è fatto. Di tanto in tanto sentiamo parlare di legge bavaglio, ma nelle periferie sono molti i giornalisti che da anni hanno scelto il bavaglio, hanno scelto l’autocensura davanti al potente, non è servita alcuna legge, magari anche una pacca sulla spalla, o anche la promessa per molteplici incarichi di uffici stampa, dalle nostre parti vi sono colleghi parecchio bravi in questo senso, violando anche le norme dell’esclusività del rapporto. Ecco però su queste situazioni c’è silenzio. Nessuno ne parla. Come nessuno parla se un avvocato in piena udienza prenda la parola per criticare la cronaca giudiziaria del caso processuale, nessuno parla se un sindaco invece di ricorrere alle richieste di rettifica o chiedere replica, preferisca ricorrere al Tribunale civile chiedendo risarcimenti contro il giornalista colpevole di scrivere cose non gradite, sostenendo la causa peraltro con i soldi pubblici. Lo ha fatto Sgarbi come sindaco di Salemi, presentando però una denuncia penale, contro il Fatto Quotidiano, lo ha fatto adesso il sindaco di Marsala Giulia Adamo contro il giornalista Di Girolamo. Nessuno ne parla e il nessuno per primo è rivolto ai giornalisti, ai colleghi dei denunciati, come se questo genere di cose non finiscono con il colpire tutti. Questo avviene perché c’è chi si ritiene appartenere ad una “casta”, alla “casta” di quelli che pensano che mai verranno intaccati perché vivono di segrete prebende, alcune piccole altre grandi. C’è una politica, collusa o no con le mafie, ci sono le mafie, ci sono i corrotti, ci sono tanti che non gradiscono l’informazione schietta, ma a fare danno a questa informazione spesso sono altri giornalisti, altri giornalisti che usano i cronisti di periferia quando hanno bisogno, per poi andare via, ci sono ppoi i giornalisti anche loro di periferia la cui primaria attività è quella di smentire l’operato del collega che magari lavora nella stessa stanza o nella stanza affianco. Ecco ricominciamo con il risolvere queste contraddizioni, tutte nostre, tutte dentro al nostro mestiere, senza perdere però di vista quella politica che è sempre in agguato per toglierci la bellezza di usare una penna, una macchina da scrivere, la tastiera di un computer, per farci usare solo i tasti del copia e incolla dei suoi comunicati.