Le storie di mafia sono diventate negli ultimi trenta, quarant’anni un frequente argomento nelle conversazioni quotidiane della penisola per non parlare dei talk-show o dei dibattiti televisivi o ancora della cinematografia internazionale. Non c’è da stupirsi soprattutto (ma non soltanto in Italia) se si riflette sul fatto che, nel nostro paese, le mafie che hanno origine nella penisola compiono una media di trecento omicidi all’anno e hanno ricavi che sfiorano il venti per cento del prodotto industriale lordo raggiunto complessivamente nello Stato italiano. E, d’altra parte, oggi – nel 2013 – si deve ricordare che ci vollero più di quindici anni dall’affermazione repubblicana del 1946 perchè il parlamento nominasse la prima commissione d’inchiesta sul fenomeno mafioso e da allora – a parte rari intervalli – di quella commissione non si è potuto fare a meno nella storia dell’Italia repubblicana. Ancora i comuni italiani sciolti per infiltrazione mafiosa (per una legge approvata soltanto nel 1991, essendo Giovanni Falcone, allora direttore degli Affari Penali al Ministero di Grazia e Giustizia, alla vigilia delle stragi Falcone e Borsellino) sono stati in poco più di un ventennio 234. Alcuni sono stati sciolti più di una volta e la Campania vanta il record nazionale con 67 consigli comunali sciolti, seguita dalla Calabria con 67 consigli comunali sciolti, dieci nel 2012, e dalla Sicilia con 60 interventi centrali di commissariamento. Un provvedimento che molti ritenevano inapplicabile al Centro Nord ma, negli ultimi vent’anni, il Consiglio dei ministri ha dovuto intervenire già sei volte.
La prima a Bardonecchia, quasi alla frontiera con la Francia, nel 1995. E, dopo un decennio di stasi, sono arrivati gli altri scioglimenti: Nettuno nel Lazio, nel 2005; Imperia e Ventimiglia in Liguria, rispettivamente nel 2011 e nel 2012; Leinì e Rivarolo Canavese, in Piemonte, nel 2012. A mostrare all’opinione pubblica quella che i magistrati – come i giornalisti e i pochi studiosi del fenomeno – sanno da molto tempo: che le mafie (mafia siciliana, ndrangheta calabrese, camorra campana e sacra corona unita pugliese) non sono presenti soltanto nelle regioni di origine ma in larga parte della penisola (per non parlare dell’Europa e delle due Americhe).
Ora finalmente, e nello stesso tempo – grazie alla fervida attività dell’associazione Libera guidata da don Luigi Ciotti – per opera di due diversi editori (Castelvecchi per l’opera più grande: il Dizionario enciclopedico delle mafie in Italia a cura di Claudio Camarca,960 pagine, s.i.p e la più piccola, ma anch’essa di notevole interesse, il Dizionario enciclopedico di mafie e antimafia a cura di Manuela Mareso e Livio Pepino, 520 pagine, edizioni Gruppo Abele) la grande lacuna è stata in gran parte colmata e chi vorrà sapere, non dico tutto – ma certo molto e assai più dell’essenziale – sul fenomeno mafioso che ogni giorno, nel nostro paese, rivela (attraverso fatti di cronaca, quanto le mafie sono presenti e pervasive nella nostra vita pubblica, in quella economica e sociale come in quella culturale e mediatica) disporrà di strumenti adeguati, e in continuo divenire con i necessari aggiornamenti, per rispondere alle domande inevitabili che continua a porre il complesso fenomeno.
Le voci o lemmi che interessano al lettore – curioso o bisognoso di notizie precise – riguardano in primo luogo i personaggi importanti (ma anche secondari) che fanno parte delle organizzazioni mafiose già indicate (e qui si trovano i nomi dei grandi capi del passato e del presente, dai Bontate, ai Badalamenti, agli Inzerillo, a Salvatore Riina, a Bernardo Provenzano e al quasi ventennale latitante Matteo Messina di Denaro.
Ci vorrebbe – mi pare – una riflessione sulla durata di queste latitanze: la maggiore è stata negli ultimi decenni quella di Provenzano, 41 anni ma anche Riina ed ora Messina Denaro restano troppo a lungo uccelli di bosco perchè la spiegazione del tutto non debba esser trovata nei sotterranei equilibri di potere interni alla mafia e alla società siciliana, piuttosto che in mere difficoltà di ritrovamento del latitante da parte delle forze dell’ordine.
Accanto ai mafiosi ci sono alcune voci che riguardano i politici coinvolti nel rapporto con le mafie da Andreotti a Lima, da Cosentino a Dell’Utri: leggendole, ho avuto modo di verificarne l’attenzione e la precisione con cui sono stati trattati nel più grande Dizionario, visto che, nell’altro e a ragione, il maggior spazio è dedicato a voci più generali, ai problemi strutturali del fenomeno mafioso o a problemi (presenti peraltro in tutte e due le opere) come Donne e mafia, Giornalismo e mafie o ancora Paradisi fiscali, Narcotraffico o Borghesia mafiosa che negli ultimi anni hanno assunto un particolare rilievo.
Così si può verificare anche che su alcuni personaggi della storia italiana (penso al giornalista Mauro de Mauro, di cui ha parlato ancora con dolore il fratello grande linguista Tullio De Mauro in una intervista al quotidiano La Repubblica o al generale-prefetto di Palermo Carlo Alberto Dalla Chiesa ucciso da Cosa Nostra dopo cento giorni dal suo insediamento nella capitale siciliana e di cui si trova oggi la borsa misteriosamente sparita il giorno dell’assassinio o a Vincenzo Vasile, un’ottima voce su “L’Ora” il giornale di Palermo nato nel 1958, che si è scontrato duramente contro la mafia”) troviamo voci ben fatte e firmate che restituiscono, in una o due pagine, il clima e l’atmosfera di quel momento, ma l’angoscia che ci prese quando apprendemmo dalla tv che loro due, ma anche i giudici Ciaccio Montalto, Falcone e Borsellino, per parlare di quelli che conoscevamo, avevano cessato di vivere per l’assalto dei mafiosi. Insomma, oggi abbiamo strumenti preziosi per conoscere le mafie e parlarne ai giovani e a tutti quelli che si preoccupano dei destini della nostra repubblica.