«Per tre giorni sono rimasti aggrappati alle gabbie per l’allevamento dei tonni in mezzo al mare Mediterraneo. Per tre giorni il comandante del rimorchiatore maltese Budafel che trainava le gabbie si è rifiutato di farli salire a bordo. Per tre giorni i pescatori e i marinai che passavano davanti a loro hanno tirato avanti senza fermarsi. Li hanno guardati come si guardano i pesci in mezzo al mare. Anzi, con meno interesse. Perché i pesci per i pescatori sono preziosi. I naufraghi, soprattutto se provenienti dai paesi poveri, no. I ventisette uomini-tonno che si sono salvati aggrappandosi alla gabbia dei pesci erano partiti dall’Africa. Cercavano una vita degna di essere vissuta. Il barcone che li traghettava verso il mondo ricco non ha retto al mare e al numero eccessivo di passeggeri, abbandonandoli sessanta miglia a Sud Ovest di Lampedusa e a Sud di Malta, in acque internazionali. La fotografia scattata dall’aviazione militare italiana ha fatto il giro del mondo. Malta e Libia si sono rimpallate le responsabilità. Nessuno dei due paesi voleva farsi carico dei ventisette uomini-tonno. Alla fine a salvarli è stata la nave Orione della Marina Militare italiana. Ma spesso il profondo mare Mediterraneo è l’unico a continuare ad accogliere gli uomini, le donne e i bambini che ogni giorno tentano di varcare il confine della fortezza Europa. Respinti dall’indifferenza, dalla paura, dalle leggi varate in nome della sicurezza, per questi immigrati rimane il Mediterraneo, divenuto ormai un cimitero per i morti senza nome e senza diritti. Neanche quello a una tomba».
Così raccontavo nel libro “Frontiere Nascoste. Storie ai confini dell’esclusione sociale” un episodio avvenuto nel maggio del 2007. Ma da allora che cosa è cambiato? Cinque anni dopo, Domenica 16 giugno, l’Ansa batteva questa notizia:
«Lampedusa (Agrigento) – Sette migranti sarebbero annegati nel Canale di Sicilia mentre tentavano di aggrapparsi a una gabbia per l’allevamento di tonni trainata da un motopesca tunisino. Lo hanno riferito i 95 superstiti, che erano a bordo di un gommone, una volta giunti a Lampedusa. Il racconto dei superstiti, alcuni dei quali hanno parlato addirittura di una decina di vittime, è ancora al vaglio degli inquirenti che lo valutano con grande cautela per la mancanza di riscontri».