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La crisi della libertà di stampa in Usa dopo l’ 11 settembre

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Mentre infuriano le polemiche sul Datagate e  il capo della Nsa rivela che a partire dalle Torri gemelle sarebbero stati ‘’sventati oltre 50 attentati grazie a Prism’’ (tra gli obiettivi, secondo il generale Keith Alexander, numero uno della National Security  Agency, la metropolitana  di New York e la Borsa), si approfondiscono le ricerche e le riflessioni sulle distorsioni che dall’ 11 settembre in poi sono state operate sui meccanismi dell’ informazione negli Stati Uniti. Dall’ introduzione del Patriot Act, all’ attivazione di di operazioni  di vere e proprie manipolazione delle notizie attuate da uffici governativi come l’OSI (Office of Strategic Influence).

Lo documenta la tesi di laurea di uno studente  padovano, Filippo Benetti*, che si è appena laureato a Padova in “Comunicazione” (relatore Raffaele Fiengo) con una ricerca –  “Crisi della libertà di stampa negli Stati Uniti dopo l’11 Settembre”  (che pubblichiamo qui) –  che mette allo scoperto molti fili all’origine della questione dello “spionaggio globale”.

Lo studio prende le mosse dai giorni immediatamente successivi all’ attentato al World Trade Center di New York, percorre le tappe e raccoglie gli elementi materiali che documentano un affievolimento della libertà di stampa in un paese dove l’ indipendenza dei giornali è sempre stato un bene primario.

Tra la fine di maggio e l’inizio di giugno 2013 l’“Affare AP” e il caso “Datagate”  hanno scatenato una  bufera sull’ operato dell’ amministrazione Obama – racconta Benetti -.  Il Washington Post ha scoperto che il governo degli Stati Uniti ha intercettato – attraverso mandati segreti – le conversazioni telefoniche tra i giornalisti dell’AP (Associated Press) e le proprie fonti.

Pochi giorni dopo il Guardian ha rivelato l’ esistenza di un programma governativo segreto (denominato PRISM) con cui la NSA (National Security Agency) avrebbe ottenuto accesso diretto ai dati degli utenti dei maggiori provider di servizi Internet (tra cui Facebook e Google), oltre alle intercettazioni telefoniche degli utenti di Verizon, uno dei 4 colossi americani della telefonia.

-Dopo un mese dagli attentati alle Torri Gemelle è approvato il  PATRIOT Act, un provvedimento di legge che amplia enormemente i poteri esecutivi e di indagine del Presidente e dei Servizi Segreti americani nella lotta al terrorismo. La legge viene varata a larghissima maggioranza (ad es. 98 voti contro 1 al Senato). In quei giorni l’opinione pubblica anteponeva certo la domanda di sicurezza a ogni funzione civile del libero giornalismo. Il Patriot Act suscitò proteste, ma non subito. Nonostante i rilievi, i dubbi crescenti di giuristi e organizzazioni per i diritti civili, alcune sezioni della legge, tra le più discusse vennero riapprovate sia nel 2006 che nel 2011 (durante il primo mandato di Obama).

-Molta impressione fece invece, nei tempi successivi all’11 settembre, la scoperta da parte del New York Times , di operazioni  di vere manipolazioni delle notizie attuate da uffici governativi come l’OSI (Office of Strategic Influence): obiettivo di quest’ufficio (che faceva capo a Cheney) fu la creazione di supporto per le truppe americane impegnate nel conflitto in Afghanistan attraverso l’inganno militare e la manipolazione di notizie come atti di propaganda per influenzare l’opinione pubblica estera a favore della causa americana. Il New York Times riuscì a far chiudere l’ufficio. Ma l’attività del governo Bush in materia continuò in segreto.

-Situazione analoga si verificò durante il successivo conflitto in Irak (assai più impopolare): una clamorosa inchiesta condotta dalla rivista Rolling Stone ha raccontato nei dettagli come funzionava il cosiddetto “marketing della guerra” della società di John Rendon Jr., un magnate dell’informazione – coinvolto nei conflitti statunitensi sin dal 1989 – abile a condurre campagne mediatiche di manipolazione delle informazioni nei paesi stranieri sotto contratto del governo americano. La fitta rete di Rendon coinvolgeva, tra gli altri, la giornalista nel New York Times Judith Miller, che pubblicò nel 2001 come ci fossero  armi di distruzione di massa nel territorio iracheno (notizia smentita anni dopo persino dal Congresso Americano). In verità la Cia aveva sottoposto al siero della verità un “testimone” uscito dall’Irak e sapeva che le sue rivelazioni erano false!

-Episodi limitanti la libertà di manifestazione del pensiero sono stati molti. Si verificarono ai danni di giornalisti e anchormen americani, soprattutto nel periodo immediatamente successivo agli attentati: ad esempio numerosi giornalisti delle testate minori furono licenziati per aver espresso opinioni critiche nei confronti dell’operato dell’amministrazione Bush.

Il conduttore Bill Maher della trasmissione Political Incorrect vide gli sponsor del format rescindere i contratti di partnership dopo che aveva definito vigliacchi i bombardamenti americani sul suolo afghano.

-Neppure cinema e musica risultarono esenti da restrizioni: la società Clear Channel (proprietaria della maggior parte dei network radiofonici americani) stilò una lista di 150 canzoni la cui trasmissione venne considerata “priva di tatto” dopo gli attentati terroristici, mentre nel mondo del cinema hollywoodiano le Torri Gemelle divennero  una sorta di tabù, tanto che ad es. il finale di Men in Black II – inizialmente girato al World Trade Center – venne rigirato in altra location.

Questi sono solo alcuni tra gli esempi di limitazione della sfera della libertà di stampa che Filippo Benetti analizza, documentando come nel periodo successivo agli attentati terroristici dell’ 11 settembre il meccanismo dell’ informazione americana si sia in qualche modo inceppato. E le conseguenze oggi entrano nelle case di tutto il mondo. Sul tavolo oggi due beni irrinunciabili: libertà e sicurezza… continua su lsdi.it


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