Hassan Rouhani è il nuovo Presidente della Repubblica islamica dell’Iran. Ci sono volute quasi 24 ore, dalla chiusura delle urne, per avere l’ufficialità di una vittoria che non è tanto sorprendente di per sé, ma per la sua ampiezza: tale cioè da chiudere il discorso senza necessità di ricorrere al ballottaggio. Unico religioso tra i candidati in competizione, il moderato Rouhani ha conquistato già al primo turno la maggioranza assoluta, il 50,7% dei voti validi: oltre 18 milioni su 36, due terzi in più del secondo classificato, Mohammad Bagher Ghalibaf, che molti pronosticavano come il suo probabile avversario al secondo turno.
Nelle principali città iraniane la gente è scesa in piazza a festeggiare in massa un risultato che per molti ha il sapore di una rivincita dopo i brogli del 2009. Come se i voti “spariti” allora, e che portarono alla conferma di Mahmoud Ahmadinejad e alla sconfitta di Mir Hossein Mousavi, siano stati restituiti agli iraniani oggi. Così come la gente, all’indomani delle elezioni di 4 anni fa, invase le strade per protestare e chiedere “dov’è il mio voto?”, oggi lo ha fatto per celebrare la vittoria di Rouhani. Gli slogan e i canti del Movimento Verde, che si erano sentiti spesso durante la campagna del neo-presidente, sono risuonati stanotte nelle strade di Teheran, Tabriz, Shiraz.
I dati ufficiali parlano di un’affluenza al voto piuttosto alta, il 72% degli aventi diritto, al punto che i seggi sono rimasti aperti varie ore in più rispetto al termine previsto. La Guida Suprema, l’Ayatollah Ali Khamenei, aveva spinto la gente a recarsi alle urne, sottolineando che il voto ad uno qualsiasi dei sei candidati rimasti in lizza sarebbe stato in ogni caso un voto per la Repubblica islamica. In realtà, il dato sui votanti è l’unico di cui può dirsi soddisfatto. Rouhani, figura moderata appoggiata dai leader riformisti Khatami e Rafsanjani, non era certo il “suo” candidato, e siccome di uomini di Khamenei in gara ce n’erano almeno tre (Jalili, Ghalibaf e Velayati) e hanno conquistato in tutto il 34% dei voti (il 16,5 Ghalibaf, l’11,3 Jalili, il 6,1 Velayati), i numeri dicono che il gradimento degli iraniani per la loro Guida Suprema è sceso quasi ai minimi storici.
La vittoria di Rouhani non può cambiare il giudizio sulle elezioni iraniane: nascono e restano non libere per il meccanismo di preselezione delle candidature da parte del Consiglio dei Guardiani, che ne ha approvate solo otto tra centinaia, respingendo tra l’altro proprio quella di Rafsanjani, su cui si erano appuntate le speranze dei riformisti, solo in seconda battuta indirizzate su Rouhani. E libere non sono anche per la repressione esercitata sull’informazione “non allineata”, con il controllo esercitato dal regime sul web e con 54 tra giornalisti e blogger tuttora in carcere; senza dimenticare le severe restrizioni imposte anche ai giornalisti stranieri, che hanno dovuto seguire le elezioni (se hanno avuto la fortuna di ottenere un visto), rispettando regole ferree e seguiti come ombre dagli interpreti messi alle loro costole dalle autorità. Non è stata libera, ovviamente, la campagna elettorale, perché non appena è stato chiaro che ai raduni e ai comizi di Rouhani i partecipanti tentavano di riportare sulla scena il Movimento Verde – i suoi slogan, i suoi inni, i suoi canti – le irruzioni della polizia e gli arresti sono stati continui. Persino il video istituzionale di Rouhani, come dimostrato dall’Iran Human Rights Documentation Center, è stato censurato e tagliato per depurarlo di ogni riferimento a Mousavi, al 2009, all’Onda Verde, e solo dopo trasmesso dalla tv di stato.
Nonostante questo Hassan Rouhani ha vinto e i candidati di Khamenei hanno perso. È presto per dire cosa cambierà nella Repubblica islamica sotto la presidenza Rouhani. Di certo una delle ragioni della sua vittoria è stata la speranza, che molti iraniani hanno visto in lui, di alleggerire la pressione internazionale sull’Iran. È stato questo del resto un tema centrale della sua campagna. Gli iraniani stanno pagando sulla loro pelle, giorno per giorno, il costo delle sanzioni internazionali dovute all’intransigenza del regime nei negoziati sulla questione nucleare. Le sanzioni (e l’embargo sul petrolio in modo particolare) hanno fatto precipitare l’Iran in una crisi senza precedenti, e la possibilità di tornare a dialogare seriamente con le potenze mondiali e di restituire al paese la credibilità e la rispettabilità perdute sono avvertite con urgenza dagli iraniani. Hassan Rouhani, che ha un passato da negoziatore internazionale – sotto la presidenza Khatami – proprio sul nucleare ha dato prova di flessibilità: fu sotto la sua responsabilità che l’Iran per la prima volta decise di fermare il programma di arricchimento dell’uranio.
Ma se nuove prospettive possono aprirsi nelle relazioni con l’estero, più difficile è intuire se Rouhani avrà la forza e la volontà politiche di dare seguito ad altre importanti promesse fatte nelle settimane precedenti le elezioni. “Dobbiamo porre fine alla pesante atmosfera di sicurezza che regna nelle strade, nelle università, nelle scuole, nelle organizzazioni”, ha detto durante i suoi comizi. Uno spiraglio di aria nuova di cui andrà verificata la portata. La speranza è che il neo-presidente Hassan Rouhani, tanto per cominciare, possa usare la chiave che è stata il simbolo della sua campagna per aprire le celle dove sono tuttora rinchiusi molte centinaia di prigionieri politici e di coscienza. Che possa esaudire la richiesta dei suoi sostenitori, i quali durante le manifestazioni pre-elettorali hanno chiesto a gran voce la fine degli arresti domiciliari di Mir Hossein Mousavi e di Mehdi Karoubi, i due candidati alle presidenziali del 2009 segregati in casa da due anni e mezzo. Che possa contribuire a rallentare, se non a fermare, la mano del boia (580 esecuzioni, in Iran, nel solo 2012). Che voglia porre fine alle persecuzioni contro le minoranze etniche e religiose. E la lista potrebbe continuare.
Non sarà facile. L’Iran – ricordiamolo – è un paese dove la Guida Suprema comanda e il Presidente governa. La Guida Suprema da queste elezioni esce indebolita, ma con Khamenei Rouhani dovrà comunque fare i conti, sempre che i suoi buoni propositi si rivelino fermi e solidi. La partita in gioco chiama pesantemente in causa i riformisti che Rouhani hanno appoggiato. L’occasione, per loro, è da “ultima chiamata”: dare per sempre ragione a chi li considera una sorta di “stampella del regime”, oppure dimostrare che possono contribuire a rinnovare il paese.
Perché è vero che la gente, in Iran, stanotte è tornata a far festa dopo anni, ma il sogno più grande è che la festa possa continuare.
* Presidente di Iran Human Rights Italia Onlus – www.iranhr.it