BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Intervista al Ministro della difesa somalo Abdihakim Haji Mohamud Fiqi, in missione a Kismayo per il Governo Federale di Mogadiscio

0 0

 

A fine settembre 2012 la truppe del Kenya hanno liberato Kismayo dall’occupazione degli estremisti islamici di Al Shabab. Kismayo sta alla Somalia come Napoli sta all’Italia. E’ la terza città del paese ed un centro importantissimo per tutta l’economia del sud del paese. Al Shabab si è alimentata di liquidità proprio con i dazi portuali e aeroportuali ed esportando nei ricchi paesi del Golfo i prodotti della terra fertilissima e il carbone ottenuto bruciando le foreste intorno ai fiumi Juba e Shabelle. Subito dopo la conquista, le truppe keniote hanno conferito il governo provvisorio della città e della circostante regione Jubaland a Ahmed Mohamed Islam “Madobe”, capo delle milizie Ras Kamboni. Infine hanno riunito i saggi per l’elezione di un governo più stabile. Le trattative sono proseguite a lungo finché il 15 maggio scorso Madobe ha rotto gli indugi, allarmato per l’arrivo in città dell’antagonista Barre Adan Shire “Hiirale”, e si è autoproclamato Presidente del Jubaland scatenando una reazione a catena che ha portato altri candidati a proclamarsi a loro volta presidenti della stessa regione. Il Governo Federale di Mogadiscio ha allora inviato sul posto tre suoi Ministri: quello della difesa, quello della giustizia e quello dell’Informazione, ma è stato fatto loro divieto di entrare a Kismayo per quattro giorni. Infine i Ministri hanno potuto finalmente entrare in Città. Dall’albergo nel quale attualmente si trova, il Ministro della difesa del Governo Federale della Somalia, Abdihakim Haji Mohamud Fiqi, ha risposto alle nostre domande.

Perché un esponente importante come il Ministro della difesa del Governo Federale della Somalia si trova a Kismayo?
Dopo l’uscita di Al Shabab si è creata a Kismayo una situazione molto particolare. Siamo qui a Kismayo per riaffermare la legittimità del Governo Federale e per mantenere aperto il dialogo con tutti. Vogliamo salvaguardare la sicurezza della popolazione ed evitare un nuovo spargimento di sangue. Vogliamo sapere cosa vuole la popolazione di Kismayo e quali sono i loro bisogni. Soprattutto siamo qui per promuovere la riconciliazione.

E come siete stati accolti?

I primi tre giorni siamo stati confinati all’interno dell’aeroporto. Sono stati tre giorni molto complessi e difficili, ma alla fine siamo potuti entrare in città. La cosa che mi ha stupito e amareggiato di più è stato apprendere che, per impedire a noi esponenti del Governo Federale di comunicare, sono state tagliate per quattro giorni le comunicazioni a tutta la popolazione, sicché la gente non poteva più dar da mangiare ai figli.

Perché?

In Somalia la gente usa il sistema di pagamento EV-Plus che permette di pagare tramite il telefono cellulare che diventa una specie di bancomat o carta di credito. Quindi, se non funziona la rete telefonica, non si può fare la spesa. Ma noi, come membri del governo, avevamo i telefoni con un circuito diverso da quello per uso civile.

Non si direbbe un’accoglienza ospitale. Lei ha già incontrato con il nuovo Presidente del Jubaland Madobe?

Non c’è un solo Presidente del Jubaland. Ce ne sono sei che si sono tutti autoproclamati presidenti e noi non riconosciamo nessuno di questi come autorità legittima.

Eppure Madobe ha potuto interrompere per quattro giorni le comunicazioni telefoniche. Ci sono militari somali a Kismayo?

Si, ci sono.

Cosa aspettate a prendere possesso del porto e dell’aeroporto?

Stiamo provvedendo in questo senso. Presto saranno invitati a Mogadiscio tutti i saggi delle regioni meridionali e con il dialogo adotteremo un’amministrazione provvisoria per sei mesi e poi passeremo l’amministrazione a coloro che saranno eletti.

E se Madobe dirà di no?

Il Governo Federale è il legittimo rappresentante di tutti i somali e le autoproclamazioni presidenziali sono contrarie alla nostra Costituzione. Non si va lontani agendo contro le regole. Noi non riconosciamo alcuno di questi presidenti autoproclamati come un’autorità del Jubaland. Tanto meno lo fa la popolazione locale che al 90% sta con il Governo Federale centrale. Il Governo federale ha il diritto e il dovere di garantire la pace e la stabilità in tutto il territorio nazionale e questo è stato riconosciuto da tutto il modo, dall’Unione Africana e dall’IGAD.

A proposito dell’IGAD, c’è una legge del 2011 firmata dal Presidente della transizione Sharif Sheikh Ahmed che prevedeva che l’IGAD sarebbe stata coinvolta per la formazione delle amministrazioni regionali. A che punto è l’applicazione di questa legge?

Nell’ultimo documento dell’IGAD che è uscito da Addis Abeba quindi giorni fa, è scritto che spetta al Governo Federale la formazione delle amministrazioni locali.

Con questa vicenda di Kismayo si è incrinata la fiducia tra Somalia e Kenya. Come intendete procedere con questo rapporto? Volete che il Kenya esca dalla Somalia adesso che sono arrivate a Mogadiscio le truppe della Sierra Leone destinate proprio a Kismayo?

Il Kenya fa parte di Amisom. Ci sono state incomprensioni, ma intendiamo risolverle con il dialogo.

Perché non coinvolgete nella trattativa anche Al Shabab?

Diverse volte abbiamo teso una mano ad Al Shabab per coinvolgerne gli esponenti più dialoganti al tavolo delle trattative, ma hanno sempre rifiutato perché, in realtà, gli Al Shabab non vogliono trattare pacificamente con gli altri somali. Sono estremisti, molto violenti anche, e vogliono imporre alla gente un potere totalitario e aggressivo attraverso un uso distorto della religione finalizzato ad applicare la Sharia più oscurantista. Sono loro che rifiutano di partecipare alla pacificazione della Somalia. Ma noi continuiamo a provare le vie del dialogo perché i combattenti di Al Shabab sono giovani somali e non vogliamo perderli.

E’ vero che in questo momento Al Shabab è molto debole?
E’ vero. Hanno perso molti punti strategici sul territorio. Ma soprattutto hanno perso la capacità attrattiva e quella economica. Si sono esaurite. Adesso gli è rimasta solamente la strategia del terrore. Fanno esplodere i loro ragazzi per provocare ancora morti. Ma la gente è stanca del sangue versato per una causa in cui non crede e che non serve a niente. Oggi i somali vedono risorgere le zone in cui Al Shabab non c’è. Le vede rifiorire col fermento dell’economia che solo la stabilità e la pace possono sviluppare. Al Shabab è il contrario di queste prospettive e presto sarà sconfitta.

dal Blog di Repubblica


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21