Chi avrà l’occasione di leggere Il giudice dimenticato di Nicola Tranfaglia e Teresa de Palma che le edizioni Abele stanno per mandare nelle librerie italiane (il giorno di uscita previsto è il 26 giugno prossimo, cioè il giorno in cui Bruno Caccia, procuratore capo della repubblica nel capoluogo piemontese fu ucciso in via Sommacampagna a Torino trent’anni) fa si renderà conto che siamo di fronte a uno dei misteri italiani che resiste ancora a cinque processi già celebrati e quasi ogni settimana provoca sulla stampa nazionale (oggi c’è un articolo sul quotidiano La Stampa a proposito di un altro libro che sta per uscire) nuovi spunti e particolari sulla vicenda che tolse di mezzo uno dei migliori magistrati che aveva combattuto con le armi della giustizia, con tutte le garanzie previste, le Brigate Rosse per il rapimento Sossi e che da alcuni anni si occupava della cosca ndranghetista di Domenico Belfiore, divenuta una potenza finanziaria controllando il Banco dei pegni di piazza Carignano e la gioielleria di via Roma Corsi,ma soprattutto avendo rapporti non chiari con alcuni magistrati torinesi anche attraverso il tesoriere della banda Franco Gonella.
Hanno tutte le ragioni, a mio avviso, i tre figli del procuratore che hanno chiesto nei giorni scorsi la riapertura del processo. L’episodio, riferito ieri dal quotidiano torinese, riguarda un’intercettazione del 19 giugno 2009 di cui è venuto in possesso l’avvocato Repici che ha assunto la difesa dei figli di Bruno Caccia. Al telefono parlano il pubblico ministero Olindo Canali e lo scrittore Alfio Caruso che sono al lavoro a Barcellona Pozzo di Gotto in Sicilia per ricostruire sulla carta il quadro criminale della città. Quando parlano del mafioso del luogo, avvocato Rosario Cattasi, il magistrato riferisce allo scrittore: “A casa sua hanno sequestrato la falsa rivendicazione delle Brigate Rosse preparata sull’omicidio Caccia. “Un simile particolare ha fatto subito pensare agli inquirenti che il mafioso siciliano sia stato autore del tentativo di depistaggio che, dall’inizio, caratterizza il brutale omicidio. Ex giovane militante della destra eversiva, è accusato di omicidio ed estorsioni e anche di intestazione fittizia di beni e associazione mafiosa. Cattasi,secondo i magistrati, era l’intestatario di un conto corrente aperto nel 1978 presso il Credito Svizzero di Bellinzona che serviva al mantenimento dei latitanti dei clan mafiosi catanesi.
L’interrogativo che si pongono i giudici- e anche i pochi che continuano a studiare l’intreccio tra massoneria, servizi segreti e mafie- riguarda il fatto che la falsa rivendicazione non è mai entrata nel processo per l’omicidio Caccia? E perché non si è approfondito il capitolo dei soldi riciclati attraverso i Casinò presenti in Piemonte e in Valle d’Aosta?
E come si fa ad arrivare alla verità su un magistrato ucciso al Nord, nove anni prima delle stragi Falcone e Borsellino a proposito del quale si parla finora di Domenico Belfiore come unico mandante dell’omicidio e non si conoscono neppure i nomi degli esecutori? C’è da sperare che si facciano finalmente i passi avanti necessari per uscire dalla nebbia che avvolge ancora quella vicenda.