La protesta continua. La sede della radiotelevisione pubblica greca, Ert (l’equivalente della nostra Rai), ad Atene, è occupata in permanenza da tutti i lavoratori, giornalisti, tecnici, amministrativi, ausiliari, artisti: 2800 persone private anche del lavoro da mercoledì scorso, quando il Governo presieduto da Antonis Samaras ha imposto lo spegnimento di radio e tv pubblica.
Una serrata vera e propria, con la sola promessa di riaprire fra tre-quattro mesi con chissà quale altra formula organizzativa e produttiva. Un delitto pubblico ingiustificabile e intollerabile, giudicato tale non solo dai dipendenti ma dai cittadini, che in massa partecipano alle dimostrazioni di piazza che si svolgono ininterrottamente davanti alla sede Ert. Una serrata condannata dai sindacati dei giornalisti di tutto il mondo, in piena solidarietà con quelli greci di Esiea e di Poesy, ma anche da vaste aree politiche di tutta Europa, nonché dall’European Broadcasting Association, Ebu, con una sottoscrizione anche dei direttori delle cinquantadue radiotelevisioni europee associate.
Le novità di oggi, dopo l’eccezionale giornata di sciopero collettivo di giovedì, è nella visita ad Atene del presidente dell’Ebu, Jean Paul Philippot, che ha offerto il massimo sostegno ai lavoratori e ai cittadini greci, ricordando la violazione dei valori centrali del trattato dell’Unione Europea per la radiodiffusione (quello dell’Ebu, appunto), sollecitando la immediata riattivazione dei canali pubblici: “anche nelle peggiori pagine della storia europea, è difficile rintracciare qualcosa di simile all’eliminazione del segnale televisivo pubblico, al cui posto oggi appare sugli schermi uno schermo vuoto e oscuro”.
L’idea di una serrata decisa in ossequio alle politiche di austerità dettate dall’Europa per mettere ordine sui conti pubblici del Paese ellenico non è plausibile, proprio perché siamo di fronte ad una serrata e non ad una riorganizzazione: “sosterremo gli sforzi di risparmio della Ert – aveva dichiarato già due giorni fa Philippot – ma ad una sola condizione: che sia ripresa l’attività e che sia prima approvata una vera riforma nell’interesse pubblico al servizio”.
È la stessa posizione espressa dalla Federazione Internazionale dei giornalisti e con essa dalla Fnsi.
Quella greca è un’esperienza sconvolgente. Chi accende la mattina il televisore a casa al posto della familiare – per quanto spesso criticata e criticabile – televisione nazionale trova, solo per dieci secondi, un piccolo quadrante con il nome del canale pubblico e subito dopo, sempre sullo schermo solo nero, un ingannevole avviso: collegamento assente, controllare l’antenna. Una sensazione di furto in casa, come se fosse stato sottratto un bene di famiglia. È lo stesso sentimento provato giovedì mattina da chi scrive, elemento di una condivisione ancora più forte con i colleghi ai quali portava la solidarietà della Fnsi e della Ifj. È la stessa ragione per la quale migliaia di persone affollano continuamente il grande spiazzo davanti alla sede della Ert, con un impressionante ricambio di persone che mantiene sempre inalterata la dimensione della protesta, quasi ci fossero dei “turni di lavoro” che assicurano il processo produttivo continuo come nelle imprese in cui si lavora senza interruzione del ciclo.
Il Presidente del Governo greco, Antonis Samaras, continua a tenere duro. Ma se è dura per i lavoratori e per i cittadini, la situazione si va complicando anche per lui. Non vuole fare marcia indietro avendo scelto la strada dello scossone “educatore”. Dovendo tagliare 15.000 posti di lavoro pubblici, non ha trovato di meglio che compiere un atto di forza, ritenuto da tutti impossibile, chiudendo la televisione pubblica e mandando a casa, privi di lavoro dalla notte alla mattina, 2800 persone. Un’azione per dare un segnale agli altri dipendenti pubblici a rischio ma anche un atto per indicare la volontà di un nuovo modello di controllo del potere sulla radio-tv pubblica, che promette di riaprire fra tre mesi. Nel frattempo spazio libero per gli oligopoli privati, deprezzamento del valore materiale dell’azienda, distruzione di un patrimonio professionale straordinario, condizioni ideali per acquisizioni a basso costo, da parte di qualche privato, di pezzi dell’azienda pubblica. Sicuramente la manovra è stata troppo azzardata. Comincia ad apparire chiaro che nessuna politica di austerità la giustifica. Peraltro, con la serrata, anche le eventuali vendite a pezzi poco beneficio porterebbero ai conti pubblici, sui quali, invece, adesso pesa il danno di una perdita calcolabile già oggi in 30 milioni di euro per gli effetti indotti dal solo provvedimento di chiusura.
I partiti minori della grande coalizione di governo presieduta dal leader di Nuova Democrazia, cioè il Pasok e il Partito Democratico, hanno imposto un vertice a Samaras per ridiscutere tutto. E stavolta non ha potuto dire un altro no, come ha fatto ieri comunicando disponibilità all’incontro al Presidente dell’Ebu, che oggi era ad Atene, solo per la prossima settimana. Lunedì 17, nel pomeriggio, dovrà misurarsi con gli alleati e forse qualcosa dovrà cominciare a rivedere dei suoi piani. La protesta civile in corso ad Atene, le reazioni internazionali dei giornalisti, del mondo della cultura, dell’arte e della stessa televisione qualche effetto cominciano a produrlo nonostante le prime reazioni ipocrite della Commissione dell’Unione europea, che in prima battuta aveva ridimensionato la vicenda ad un affare interno di un singolo Stato. Non è così e non può essere così. Quando si compie una lesione grave contro i diritti dei cittadini al pluralismo, all’identità culturale, politica e sociale espressa attraverso strumenti come quelli del servizio pubblico, che sono di tutti i cittadini, non di un Governo o di un padrone assoluto. È un danno grave per i greci, uno scempio per l’Europa. Adesso è più chiaro a tutti cosa sia e cosa possa e debba essere, in meglio, il servizio pubblico radiotelevisivo e perché, come tutti i beni comuni, questo valore, questo patrimonio, questo servizio debba essere assicurato e garantito a qualsiasi latitudine.