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Crisi editoria, chi resta indifferente davanti a tanta desolazione?

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Il lamento è profondo, sommesso e viene da lontano. Ma è lacerante per chi non si rifiuta di sentire. E poi, è autorevole: viene dalla Federaione Italiana degli Editori di Giornali. La crisi dell`editoria in Occidente è particolarmente violenta, dice il presidente Fieg, Giulio Anselmi, introducendo il rapporto “La stampa in Italia 2010-2012”. L’anno passato è il quinto consecutivo con dati negativi per l’editoria. Secondo lo studio, le copie di quotidiani vendute sono scese del 6,6 per cento e nell’ultimo quinquennio il calo è del 22 per cento. Cioè, si precisa, più di un milione di persone ha smesso di comprare il giornale e, per la prima volta, nel 2012 sono diminuiti anche i lettori.

Per quanto riguarda la pubblicità, i dati sono altrettanto allarmanti: l’anno scorso è stato il peggiore degli ultimi venti e, per la prima volta dal 2003, si è scesi sotto gli 8 miliardi di € (-14,3 per cento rispetto al 2011). Ma non è finita, perché nel primo trimestre 2013 la crisi non demorde, anzi peggiora.
A farne le spese è soprattutto la carta stampata quotidiana e periodica, e soltanto Internet dà qualche – insufficiente – segno di vita.
Secondo lo studio, le ragioni della malattia che ha colpito l’editoria cartacea vanno ricercate naturalmente nella drammatica congiuntura economica: le prime avvisaglie del tracollo si sono viste nel 2008. Ma anche nella deregulation tecnologica e in concreti limiti strutturali.
Il settore, si precisa, soffre di un assetto del mercato inserzionistico fortemente sbilanciato in favore delle televisioni: la raccolta pubblicitaria dei quotidiani è calata del 17,6 per cento, del 18,4 quella dei periodici. In discesa anche gli investimenti sulla tv, ma meno ripida. Come altro fattore di crisi viene indicata l’insufficiete valorizzazione dei contenuti editoriali nella Rete, di fronte alla possibilità di ottenere informazione gratis. Per non parlare poi delle carenze e delle inefficienze del sistema distributivo che, di fatto, non ha alternative alla vendita in edicola.
La Rete, insomma, sembra l’unico terreno fertile per fare crescere la pubblicità. Il 2012 ha fatto registrare un +5,3 per cento (da 631 a 664 milioni di €), portando i ricavi da editoria on-line a rappresentare oltre il 5,5 per cento del fatturato complessivo. Sarebbero ormai oltre 185mila le copie digitali di quotidiani e periodici vendute ogni giorno.

Le conseguenze di tutto ciò si riscontrano nei bilanci delle imprese editrici di quotidiani – già in rosso – che nel 2012 hanno subìto un ulteriore peggioramento, fra calo dei ricavi (9 per cento) e utile di esercizio in picchiata (da 92,8 a 42,3 milioni di €).
Ma le conseguenze si fanno sentire pesantemente anche sull’occupazione dei giornalisti e dei poligrafici. Diminuiti complessivamente i primi del 4,2 per cento – sfiorando il 10 per cento nelle agenzie di stampa – e del 6,7 per cento i secondi.

Dicevamo, all’inizio, che il lamento è lacerante per chi non si rifiuta di sentire. E cioè, chi resta indifferente davanti a tanta desolazione? Anselmi, innanzi tutto, punta il dito contro la politica che “… ha praticato una troppo lunga latitanza …”. E sollecita una “… ridefinizione complessiva delle forme di sostegno all’editoria, spostando risorse dai soggetti ai progetti, dai contributi agli incentivi, augurando “… rapidità di intervento …”, per esempio riprendendo il ddl Levi, e mettendo in campo adeguati interventi di sostegno della domanda, per neutralizzare la scarsa propensione all’acquisto dei giornali da parte del pubblico.
Ma il presidente Fieg fa anche un po’ di autocritica: invoca infatti “… una ristrutturazione radicale basata sull’integrazione carta-Web”. Bisogna evitare – dice con forza – che l`espansione dei nuovi media minacci le fonti tradizionali. La palla, dunque, resta agli editori.
Ma siamo sicuri che una tirata di orecchi non se la meritino anche coloro che i giornali – o meglio l’informazione – la fanno tutti i giorni, battendo sui tasti del pc, o mettendoci la propria faccia e la propria voce? Perché, si chiedono ormai in molti, si spaccia per informazione ciò che soltanto è gossip o sceneggiate artificiali, replicate invitando consapevolmente a fronteggiarsi davanti a un pubblico di lettori o di teledipendenti personaggi che altro non hanno da offrire che la propria aggressività o la propria maleducazione (vedi talk-show), purché non affrontino mai i temi veramente importanti per la gente?


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