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Censis: troppo accentuata è stata la fede nei Dati e troppo poca la capacità di interpretarli

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La casalinga di Voghera non fa più la casalinga: ha lasciato il marito -“… buttava tutti i soldi nei videopoker …” – e s’è trasferita a Roma dove gestisce, con il nuovo compagno che lavora di tanto in tanto in un call-center, un distributore di sigarette elettroniche. L’ex casalinga di Voghera non accede ai Dati, non perché le venga impedito, ma perché ha altro a cui pensare.
Tuttavia, s’è accorta di quanti “compro oro” siano nati dappertutto, e non si chiede grazie a quali alchimie finanziarie così tanti espulsi dal mondo del lavoro abbiano potuto aprire esercizi in grado di pagare in contanti e subito collanine della nonna, anellini della prima comunione e servizi incompleti di posate d’argento. Però, fa una considerazione: la crisi costringe un sacco di gente a privarsi anche degli affetti più cari.
Eppure, ogni giorno, tutto l’anno, siamo letteralmente sommersi da uno tsunami di Dati. Se n’è discusso al Censis che, come al solito, pur rischiando questa volta di darsi la zappa sui piedi, ha l’acume per avvertire fenomeni che troppo spesso passano inosservati o, peggio, vengono taciuti.
Se n’è discusso nell’ambito di “Un mare di numeri senza interpretazione”, seconda giornata dei quattro incontri del tradizionale appuntamento di giugno “Un mese di sociale”, che quest’anno l’istituto ha dedicato a “La società impersonale”. Se n’è discusso fra fornitori di Dati, utilizzatori di Dati, critici di Dati, addetti ai lavori. L’ex casalinga di Voghera, naturalmente, non c’era.

Di troppi Dati si può morire, ammonisce il Censis. Siamo giornalmente esposti a una valanga incontrollata di numeri, spiega. Più di un sondaggio di opinione al giorno, magari su aspetti decisamente effimeri, messi a fianco di tematiche vitali per i cittadini; 4 indagini dell’Istat a settimana (+23 per cento di pubblicazioni e Dati disponibili rispetto al 2010), gli accessi al sito Istat per scaricare Dati sono aumentati negli ultimi 7 anni del 160 per cento, oltre 4.800 dataset di open data delle amministrazioni pubbliche consultabili on-line, in ossequio al dovere di trasparenza.

Per altro, qualcosa bisogna pur farla con questa valanga di numeri, espulsa ogni giorno da una miriade di istituti a getto continuo. C’è ovviamente l’Istituto centrale di statistica con oltre 44 differenti emissioni all’anno, e il Fondo monetario internazionale, l’Ocse, la Bce, l’Eurostat, la Banca d’Italia, ci sono le Camere di commercio, i sindacati, le associazioni, i partiti, i centri studi, i blog, …Sarà pure un’overdose di Dati, talvolta magari discordanti, talvolta
persino scorretti, costringendo la fonte a chiedere scusa, come è successo per esempio recentemente al Fmi per quelli sbagliati sulla Grecia, ma più-numeri uguale più-informazioni, uguale più-opinioni. O no?Troppo spesso, purtroppo, l’uguaglianza non funziona. Intanto perché, si chiede retoricamente il Censis, quanti di questi Dati vengono correttamente interpretati? Prevale la rincorsa, si risponde l’istituto, a comunicare il Dato per ottenere l’effetto annuncio. In altre parole, fenomeno totalmente pervasivo sull’odierno palcoscenico, quel che conta è il titolo sulla pagina di giornale. Ancora una volta l’apparire prevale
sull’essere, ancora una volta la spettacolarizzazione della realtà prevale sull’analisi e sull’informazione.

E i giornalisti? Troppi fanno spesso finta di guardare dall’altra parte. O, quantomeno, non si premurano – com’è invece dovere deontologico – di sentire un’altra campana. Così i giornali e le televisioni sono diventati contenitori di misurazioni, di indici, di graduatorie che appaiono come notizie clamorose e allarmano cittadini e imprese, favorendo comportamenti compulsivi o addirittura tragicamente emotivi. E la comprensione della realtà è sempre più evanescente.

Ma in fondo va bene così a tutti; non conosciamo l’opinione dell’ex casalinga di Voghera, ma ci scandalizziamo se si scorda di andare a votare. Qualsiasi bufala volontaria o “involontaria”, purché ben dotata di Dati, funziona per essere utilizzata da questo o da quello per dare forza alle proprie tesi.
Ma, tanto per fare un esempio, ed è la dura realtà sottolineata dal Censis: “… nonostante i tanti numeri diffusi per comprendere i diversi aspetti della crisi e aiutare a generare policy efficaci rispetto alle questioni che il Paese deve affrontare, nessuna delle misure adottate fino a oggi ha risolto o attenuato i problemi. Con l’aggravante che alcuni modelli previsionali fondati sui numeri si sono rivelati clamorosamente errati, perché troppo accentuata è stata la fede nei Dati e troppo poca la capacità di interpretarli”.


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