di Paolo Castelli |
Andrea Marcenaro (“Il Foglio”) condannato a 25 mila euro di danni per le domande al giurista Vaccarella che attaccò i magistrati di Mani Pulite
La terza sezione civile della Cassazione ha confermato la condanna del giornalista de “Il Foglio” Andrea Marcenaro e dell’ex giudice costituzionale Romano Vaccarella a versare ai magistrati del pool ‘Mani pulite’ 25 mila euro ciascuno, a titolo di risarcimento di danni morali, ai magistrati del pool “Mani Pulite” di Milano. La sentenza spiega perché oltre all’intervistato è stato riconosciuto colpevole anche l’intervistatore: i giornalisti, secondo la Cassazione, si rendono corresponsabili della diffamazione se rivolgono domande “allusive, suggestive e provocatorie”, accompagnate anche da “personali valutazioni” che finiscono per essere elementi di “concause della lesione dell’altrui onore e reputazione” rispetto alle parole dell’intervistato. Vaccarella e Marcenaro erano, inoltre, stati querelati per diffamazione in sede penale. Furono condannati in primo grado e prosciolti in appello.
L’intervista di Marcenaro a Vaccarella fu pubblicata sul quotidiano il 3 novembre 1997 e tre giorni dopo fu ripresa da ”Panorama”. Il giurista Vaccarella aveva affermato che il pool di Mani pulite macchinava processi penali di rilevanza mediatica con l’obiettivo di azionare cause risarcitorie per “le pretese diffamazioni” rispondendo a domande di Marcenaro formulate, secondo la Corte, in maniera “allusiva”.
La Suprema Corte riconosce che non si può pretendere dai giornalisti di essere “semplici trascrittori delle risposte altrui” oppure di tenere “un atteggiamento asettico e sterile dinanzi a quanto riportato”, perché questo comporterebbe una “inammissibile serie di limitazioni alla manifestazione del pensiero, se non proprio atteggiamenti francamente censori”. Tuttavia, allo stesso tempo, non possono essere aizzatori o provocatori del’’intervistato, e quando lo sono diventano corresponsabili, concorrono “a dar luogo alla valenza o portata diffamatoria dell’intervista”. Insomma quando ‘interagiscono’ con l’intervistato “in relazione al tenore delle singole domande poste, o del loro complessivo contesto, o ai commenti o alle premesse alle medesime, nonché alle modalità stesse della loro formulazione o struttura”.
Nel caso specifico Marcenaro aveva escluso, contrariamente al vero secondo la Corte, che i magistrati del pool avessero presentato una querela penale e che avrebbero destinato l’eventuale risarcimento ad opere in beneficienza.
Vaccarella e Marcenaro dovranno risarcire con 25 mila euro ciascuno l’ex capo del pool di Milano, Francesco Saverio Borrelli, e l’ex pm Gherardo Colombo, oltre ai magistrati ancora in servizio Ilda Boccassini, Piercamillo Davigo e Francesco Greco.
Ma il pool si era in precedenza già costituito in sede civile. Per la Cassazione la condanna al risarcimento emessa dalla Corte d’Appello di Milano il 5 luglio 2006, “si sottrae alle critiche” mosse da Vaccarella e Marcenaro in quanto “la prospettazione di una macchinazione articolata su di una serie di premeditati stravolgimenti del fine istituzionale di ciascuna azione penale, attribuita nella veste insinuante e capziosa del grave sospetto, proveniente da persona di grande autorevolezza nel campo giuridico opera un deciso salto di qualità dalla prospettazione di un’opinione, per trasmodare nella configurazione di un disegno tecnicamente definibile come criminale, oltre che incommensurabilmente immorale per la professione svolta dai sospettati”.
Sulla resposabilità di Marcenaro, i giudici della Cassazione hanno condiviso il punto di vista del pool che aveva sostenuto la “conclamata mancanza di obiettività da parte dell’intervistatore per l’evidente strumentalità delle domande alle risposte diffamatorie e per il carattere oggettivamente lesivo anche degli interventi riferibili esclusivamente all’intervistatore”.