BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Torino povera o povera Torino?

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Il dilemma, sicuramente mal posto, come quasi tutte le generalizzazioni, origina da un modo di dire prettamente piemontese, che, per indicare una situazione incresciosa o una disgrazia incombente o avvenuta, antepone l’aggettivo “ povero” all’oggetto in questione: povero me, povera Italia, poveri noi, “suma  mal ciapà” ( siamo mal messi). Torino è povera o povera Torino?
Se ne è discusso di nuovo, come avviene ormai a ondate ricorrenti, nei giorni scorsi, sulle pagine dei quotidiani torinesi, in occasioni di due eventi assai diversi tra loro.

Il Comitato Rota, una sorta di think-tank locale, ha presentato alla Galleria d’Arte Moderna il suo Rapporto annuale sulla città e le sue prospettive. E’ un evento atteso dalla comunità della classe dirigente di Torino, cui partecipano non solo gli amministratori locali, tirati in ballo dalle valutazioni degli studiosi, ma anche imprenditori, banchieri, docenti universitari, politici, manager.
Il Rapporto 2013 ha avuto un’intonazione negativa, registrando l’arretramento di Torino e del suo sistema economico, formativo e amministrativo nelle classifiche nazionali dei diversi settori, con particolare riferimento a una perdita complessiva di competitività.

Il Sindaco Fassino ha vivacemente contestato l’impostazione del Rapporto, rimarcando, invece, tra le tendenze positive in atto, l’apertura internazionale di Torino, la forte accelerazione impressa all’investimento culturale da parte dell’amministrazione, che fa del capoluogo subalpino un centro di notevole attrattività turistica, nazionale e internazionale. Negli stessi giorni, nelle celebrazioni per la festa di Maria Ausiliatrice, che hanno visto una straordinaria partecipazione alla solenne processione, il Vescovo Nosiglia rimarcava il disagio crescente che “ nelle sue espressioni più crude è diffuso in molti nuclei familiari e abbraccia ormai persone di ogni età e condizione”.

Come a dire, due città che fanno fatica a riconoscersi  e, anche complice la vergogna di dover ammettere  una nuova condizione di povertà , a parlarsi.
Perché è proprio la vergogna e la ritrosia anche mediatica a parlare di queste ricadute della crisi che aggrava la condizione di povertà e il senso di solitudine e, talvolta, di disperazione che ne deriva. Ne sono convinti  Paolo Griseri, inviato di Repubblica, Pierluigi Dovis, direttore della Caritas diocesana e Roberto Cardaci, ricercatore e sociologo, che in un agile libretto edito dalla Celid e presentato al recente Salone del Libro hanno voluto indagare dove vivono e che cosa chiedono i “ Poveri nella città” a Torino.

“I torinesi – scrive Griseri, un giornalista abituato a guardare in giù e ad ascoltare le voci che arrivano dal basso, magari flebilmente – avevano già rotto il porcellino tra il 2002 e il 2006, per mantenere  la posizione sociale raggiunta negli anni precedenti, nonostante  la chiusura della produzione in molte aziende e la cassa integrazione”. Per questo quando, dopo il 2008, la crisi economica mondiale è tornata ad abbattersi, ha trovato una popolazione già fiaccata, con il serbatoio della benzina ormai in riserva.
Lo tsunami ha colto di sorpresa quelli  che ritenevano di essere al sicuro, di essere riusciti a traghettare dalla sponda dei sacrifici e del reddito incerto a quella della sicurezza e del benessere. E’ stato un processo silenzioso e per molti aspetti  poco visibile, sicuramente dai media che, stolidamente, hanno a lungo rincorso e alimentato polemiche originate da battute su ristoranti e voli aerei sempre pieni, invece di guardare ed ascoltare ciò che pure era vicino.

Se nella Torino degli anni ’80 – nota Griseri –  la vergogna dei cassintegrati era quella di perdere il proprio senso sociale per aver perduto il lavoro, nella Torino di oggi ci si vergogna di avere un reddito inaspettatamente insufficiente. La Caritas ha dovuto togliere le insegne dai suoi centri di accoglienza per consentire a persone ancora oggi insospettabili di entrare e raccontare le loro difficoltà economiche, di chiedere il pagamento di una bolletta o di una rata dell’affitto.

Il pubblico fa quello che può in tempi di “spending review”: i servizi sociali sono costretti  a lesinare gli interventi proprio quando la crisi li rende ancor più necessari, generando una sorta di “tempesta perfetta”. Il privato non va meglio. La crisi dell’auto continua a bruciare redditi: ogni mese la cassa integrazione dei soli addetti  alle Carrozzerie di Mirafiori toglie dalla circolazione 2,5 milioni di euro, impoverendo non solo le famiglie degli operai, ma l’intera comunità cittadina che si vede sottratta una capacità di spesa vicina ai 33 milioni ogni anno.

Se poi si ribalta nell’area del non lavoro la proporzione di 4 addetti nell’indotto per ogni operaio Fiat che gli analisti comunemente accreditano, ogni anno vengono sottratti all’area metropolitana tra i 120 e 150 milioni di reddito. Tenendo conto che nelle piccole aziende non c’è quasi mai la possibilità di arrivare alla cassa integrazione; ogni licenziamento significa la perdita secca dello stipendio e non solo dei  500 euro mensili di differenza tra il salario medio e il sussidio erogato dall’Inps.

Il libro è un pozzo prezioso di dati e valutazioni, che delineano un quadro di certezze infrante, di difficoltà a ricostruire la mappa della città come storicamente conosciuta, con i suoi quartieri “bene” e le periferie, con le zone benestanti  e quelle di faticosa integrazione. La vecchia divisione sociale della città non aiuta più a capire cosa capita al milione di abitanti torinesi, ma neanche talvolta al vicino della porta accanto. E i media, soprattutto quelli televisivi, rimandano pensose dichiarazioni di sedicenti esponenti politici che invitano (chi?) a profonde riflessioni  sui motivi della crescita impetuosa dell’astensionismo…

Forse se analizzassero un po’ di più le reali condizioni delle persone in questi tempi che viviamo, assolverebbero un po’ più decentemente alla loro ragione sociale di informare. E parlando della  povertà che è tornata dopo due generazioni a farsi sentire anche nel ricco Nord, aiuterebbero le persone a non vergognarsi e a sentirsi meno soli nel cercare soluzioni che non siano quelle estreme.
E’ così difficile?

* Articolo21 – Circolo di Torino


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