Un grande libro nelle nostre librerie. Lo ha scritto Shady Hamadi, italiano di origini siriane. E spiega benissimo perché la tragedia non è il frutto di un caso.
Molti si chiedono se in Siria, dietro l’insurrezione, vi sia stato un “complotto”… Sì. E’ vero! C’è stato un complotto in Siria. Quello ordito da una cricca feroce e mafiosa ai danni del popolo, quello siriano, sul quale ha tiranneggiato per mezzo secolo. E questo libro spiega benissimo di che razza di orrendo complotto si sia trattato. E perché, e come, i complici arrivino fin dentro di noi. Ecco la recensione. di Lorenzo Trombetta
Il Krak dei Cavalieri, la più nota fortezza crociata della Siria, gli si era improvvisamente svelata davanti, distante decine di chilometri ma ben visibile come se fosse vicina pochi metri.
Shady Hamadi, scrittore e intellettuale milanese originario della regione di Homs, autore di ‘La felicita’ araba. Storia della mia famiglia e della rivoluzione siriana’ (Add editore, pp. 256, 15 euro), non credeva di esser cosi’ vicino alla sua dimora affettiva, alla casa che fu del padre e del nonno.
In una mattina del marzo scorso, quando il suo libro – da metà aprile nelle librerie – era quasi pronto per esser stampato, Shady Hamadi si recava nel nord-est del Libano per incontrare alcuni suoi parenti, fuggiti dalla regione di Homs nella depressa regione libanese dell’Akkar. Una spanna di pianure coltivate, il modesto corso del fiume al Kabir e un confine internazionale separano l’Akkar dal Krak dei Cavalieri.
Da circa due anni, da quando la repressione del regime di Bashar al Assad ha soffocato nel sangue le proteste popolari trasformatesi in un’insurrezione armata, molti dei profughi incontrati da Hamadi nella primavera del 2013 non sono più potuti tornare a Talkalakh, la cittadina da cui provengono. E da cui parte la storia del giovane autore italo-siriano. Una storia non solo familiare ma di un’intera nazione.
Il testo di Hamadi, diviso in due parti con una ricca appendice di documenti, è costruito su questo doppio registro: la storia contemporanea della Siria è raccontata alla luce delle vicende personali del nonno e, soprattutto, del padre dell’autore. La vicenda dell’attivista politico Mohammed Hamadi prende corpo grazie alla voce narrante di Shady.
E il lettore segue Hamadi padre fino al buio di una cella sotterranea dove fu incarcerato nel 1968, due anni prima dell’avvento al potere di Hafez al Asad (padre dell’attuale rais) e cinque anni dopo il golpe dell’ala militare del Baath, il partito unico rimasto tale per mezzo secolo.
E’ una storia doppia anche perché l’esperienza del padre è affiancata a quella del figlio. Una contrapposizione che incarna la forza della rivoluzione – mentale e culturale prima che politica, economica e sociale – scoppiata in Siria nel marzo 2011.
Hamadi figlio, che non ha vissuto in prima persona “le torture, le persecuzioni, le umiliazioni” subite dal padre e che sono stati “gli unici elementi di continuità” nel mondo arabo post-coloniale, e’ riuscito con maggior leggerezza a compiere a ritroso il percorso paterno. Che dalla Siria approdò a Lucca trent’anni fa dopo penose disavventure in Kuwait e Iraq. Shady Hamadi dalla sua Milano nel 2009 è tornato alle sue origini. A Damasco, in quel febbraio di quattro anni fa, atterrò che dell’arabo conosceva due o tre parole. Per fuggire dal dolore della prematura scomparsa della madre, ma anche per conoscere l’altra sua metà. Da lì è iniziato un percorso di cui questo libro è in parte testimonianza.
‘La felicità araba’ di Hamadi rievoca il titolo del saggio dell’intellettuale libanese Samir Kassir (‘L’infelicità araba’, Einaudi 2006). Definito “il manifesto del dissenso arabo”, il testo profetico di Kassir – ucciso nella sua Beirut in un attentato dinamitardo attribuito da più parti al regime siriano – indicava alle popolazioni arabe la strada, per alcuni del tutto utopica allora, di “riappropriarsi del proprio destino”.
“Bisogna liberarsi della cultura del vittimismo”, scriveva Kassir, forse inconsapevole che anni dopo alcune delle piu’ importanti piazze del Nordafrica e del Medio Oriente si sarebbero riempite di giovani che avrebbero rivendicato dignità e diritti. Una richiesta urgente, invocata spesso mettendo a rischio la propria vita, ma non più procrastinabile col pretesto del “complotto straniero” e della presenza dei nemici esterni.
“Gli arabi si sono già salvati da soli”, scrive oggi Hamadi. “E, in assenza di interferenze, continueranno plausibilmente a percorrere la strada della democrazia diventando i registi delle loro vite”.