BARI – Secondo la magistratura di Bari, con la messa in onda di un video impietoso che mostra il corpo senza vita di Meredith Kercher, la studentessa inglese di 21 anni uccisa a Perugia la notte fra l’1 e il 2 novembre 2007, Telenorba ha “leso il diritto alla riservatezza ed alla tutela dell’immagine della ragazza e, per lei, dei suoi familiari”
Lo ha scritto il gip Gianluca Anglana nell’ordinanza con cui, lo scorso febbraio, rigettando una richiesta di archiviazione, ha disposto l’imputazione coatta di Enzo Magistà, direttore di Telenorba e del giornalista Antonio Procacci, responsabili della messa in onda del filmato. Il video mostra il corpo senza vita della studentessa, denudato e con la gola squarciata.
Le immagini erano state riprese dalle forze dell’ordine per documentare la scena del delitto subito dopo l’omicidio. Il video fu mandato in onda il 31 marzo 2008 all’interno della trasmissione ‘Il Graffio’. Il 27 maggio 2008 il Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della Puglia sanzionò Magistà con sei mesi di sospensione dall’attività professionale.
Dopo la messa in onda del filmato la famiglia Kercher denunciò per diffamazione a mezzo stampa, violazione del codice della privacy e pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale i due giornalisti e alcuni parenti di Raffaele Sollecito, lo studente pugliese imputato per l’omicidio e poi assolto in secondo grado insieme ad Amanda Knox (ma di recente la Cassazione ha stabilito che il processo deve essere rifatto).
Da Perugia il procedimento per diffamazione fu spostato per competenza territoriale in Puglia: i difensori dei cronisti e di Sollecito chiesero l’archiviazione, proposta anche dal pubblico ministero di Bari Antonio Laudati nel luglio 2012. Il magistrato nei confronti dei giornalisti sostenne le ragioni del diritto di cronaca e nei confronti dei familiari di sollecito “l’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche”, da cui era emerso il loro coinvolgimento nella vicenda.
I Kercher si sono opposti alla proposta di archiviazione e la loro richiesta, come abbiamo visto, è stata accolta alla fine dello scorso febbraio dal giudice per le indagini preliminari Gianluca Anglana, ma solo nei confronti dei giornalisti, di cui è stata disposta l’imputazione coatta, perché, ha scritto il giudice, “non sembra rispettato il requisito della continenza nella esposizione del servizio” e “risultano obiettivamente raccapriccianti le immagini delle ferite”, “tali da turbare il comune sentimento della morale”. E’ stato invece prescritto l’altro reato contestato agli indagati, la pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale. I familiari di Sollecito (padre, madre, sorella e due zii) sono invece usciti dal procedimento per l’insufficienza di elementi validi a sostenere l’accusa.
“Alcune intercettazioni telefoniche dimostravano il coinvolgimento della famiglia dei familiari di Raffaele Sollecito, che avevano recuperato il video girato dagli investigatori e l’avevano passato ai giornalisti”, ha detto ad Ossigeno l’avvocato Francesco Maresca, difensore dei Kercher, “ma queste intercettazioni erano state disposte nel processo dell’omicidio e quindi non possono essere utilizzate in un altro procedimento”.
Non è escluso che la famiglia della vittima faccia una richiesta di risarcimento danni, ma non è questa, spiega ancora Maresca, la ragione per cui è stata fatta la denuncia: “La causa è stata avviata soprattutto per dare un segnale, perché il video è stato usato in modo assolutamente improprio”, continua. “Il filmato è stato depositato agli atti del processo per l’omicidio e tutti i legali coinvolti ne avevano copia. Poi ha iniziato a girare: tanti giornalisti e televisioni ce l’avevano ma solo Telenorba ha deciso di trasmetterlo in quella lunghezza di diversi minuti e facendo vedere anche le immagini più delicate”.
Quelle immagini, dice l’avvocato, furono girate con un approccio ben preciso: per documentare la scena del delitto ad uso dei pubblici ufficiali che investigano per trovare la verità. Non sono le immagini di un videoperatore che registra immagini per farne un uso giornalistico, per mandarle in onda. Sull’opportunità e la necessità di mostrare immagini con particolari raccapriccianti ed esposizione di parti intime del corpo di una persona morta, il giornalista è sempre tenuto a rispettare limiti deontologici e tenere conto di una pluralità di interessi: certamente quello dei cittadini di essere informati, ma anche quello non meno rilevante di rispettare il diritto alla privacy, la dignità e il pudore delle vittime.
La Carta dei doveri dice che il giornalista “non deve inoltre pubblicare immagini o fotografie particolarmente raccapriccianti di soggetti coinvolti in fatti di cronaca, o comunque lesive della dignità della persona; né deve soffermarsi sui dettagli di violenza o di brutalità, a meno che non prevalgano preminenti motivi di interesse sociale”.
Queste valutazioni a volte sono scontate, a volte comportano valutazioni delicate e difficili da parte dei giornalisti che, soprattutto di fronte a fatti di cronaca clamorosi e controversi, di fronte ad immagini che arricchiscono le informazioni sul caso, possono anche sbagliare, possono ledere legittimi interessi. E’ perciò utile approfondire gli episodi che sfociano in aperte controversie, per trarne indicazioni e insegnamento, per capire meglio quanto sia importante rispettare i diritti delle vittime e in quali particolari circostanze invece deve prevalere il diritto di cronaca.
Già altre volte (Leggi) Ossigeno ha invitato a riflettere sulle circostanze in cui è consentito ai giornalisti di mostrare immagini raccapriccianti, immagini di vittime senza vita. In questa logica sarà utile conoscere anche il punto di vista dei giornalisti imputati in questo processo. Ossigeno ha cercato il direttore di Telenorba, Enzo Magistà: per avere la sua versione dei fatti, gli sono state inviate da tempo per posta elettronica alcune domande che finora non hanno avuto risposta.