Piero Ignazi, su Repubblica, spiega che il governo Letta – Alfano non si può definire di “grande coalizione”. Non, come in Germania, un governo fra i due alternativi, cristiano sociali e socialdemocratici, per superare fase particolare e problemi eccezionali. Ma, nel caso in specie, un governo di tutti, destra e sinistra e centro, che esclude solo il movimento 5 Stelle. Un governo della politica contro quella che viene definita anti politica, la chiamata a coorte dentro le istituzioni per escluderne i nuovi barbari. Non a caso Napolitano ha richiamato le “larghe intese” della fine anni 70 contro il movimento del 77 e il reclutamenti di massa delle Br.
Sul Corriere della Sera il professor Galli della Loggia, l’ideologo che in un memorabile libretto è riuscito a scrivere che Mussolini, De Gasperi e Berlusconi vinsero nel 22, nel 48 e nel 94 e perciò era giusto che vincessero, oggi tuona contro la minaccia del “movimentismo” che lancia “una sfida neo radicale e giacobina al Pd”.
Intanto Giannelli illustra il governo riunito intorno a un lunghissimo fratino nel refettorio dell’dell’abbazia di Spineto. A un’estremità Letta, all’altra Alfano. “Organizzazione perfetta – dice Angelino a Lupi – noi non possiamo intendere ciò che dicono Letta e Franceschini e loro non possono intendere ciò che diciamo noi”. Così anche per litigare, Letta e Alfano, si devono affidare ai “retroscena” e ai “retroscenisti”. “Letta: basta o il governo rischia”, Corriere della Sera. “Stop a ministri in piazza e in tv”, Repubblica. “Basta ministri in piazza”, La Stampa.
Ma dove si sarà svolto questo duro faccia a faccia del premier con il suo vice? In viaggio verso l’abbazia di Spineto, spiega La Repubblica. Cioè a cose fatte, dopo che Alfano aveva deposta la sua pietra al Muro del Pianto dell’imputato Berlusconi in una piazza di Brescia. Prima non funzionavano i telefoni, le televisioni si erano spente, i tweet arrossivano per l’abbandono di Enrico Mentana. Ma, in viaggio, Enrico gliele ha dette di santa ragione! Meno male. E come mai il Presidente Napolitano, che in questi mesi non ci ha lesinato il conforto di un suo quotidiano messaggio, come mai non ha avuto niente da dire sulla sfida di Brescia contro un potere dello Stato? Semplice! Il Presidente si riconosce nelle parole (ferme e dure?) del Vice Presidente del Csm: “la giustizia non è una materia da stadio”.
Chissà se il temerario Vietti si riferiva alla curva del Toro che ha commemorato la morte di Andreotti innalzando foto di Falcone e Borsellino. Non materia da stadio la giustizia, ma di televisione, sì. Ieri Canale 5 ha raccontato “la guerra dei venti anni” contro Berlusconi Silvio. Dal titolo, attendevamo immagini una riflessione storico-giornalistica sull’ombra del rapporto con la mafia che su Berlusconi è rimasta appiccicata dopo la doppia condanna di Dell’Utri. O della corruzione di un magistrato per acquisire l’impero Mondadori, che è costata una condanna definitiva all’altro sodale, Previti. No, il lungo servizio dei colleghi Mediaset spiega nel dettaglio come le cose che dirà oggi Ilda Boccassini al processo Ruby siano false, tendenziose, frutto di indagini parziali e di pregiudizi colpevoliste. Chissà se il magistrato e senatore Nitto Palma, a cui rinnovo le mie scuse per aver “sparato” la parola “indecente” a proposito della sua elezione a capo della Commissione Giustizia, vorrà esprimere solidarietà alla collega “Ilda la rossa”, processata in Tv alla vigilia del Processo.
Quanto al Pd, Guglielmo Epifani sottolinea come la sua forza stia nel mandato a tempo. Vero. Stefano Rodotà gli dà una mano e gli suggerisce il modo migliore per riempire il tempo disponibile. “Se il Pd non ascolta la base si avvia verso la dissoluzione”, La Stampa. Mi permetto di aggiungere che, con la base, Epifani dovrà discutere di politica non della fuffa di cui scrive Galli della Loggia né, lo dico con rispetto e affetto, della domanda (retorica) posta all’assemblea nazionale da Pierluigi Bersani: “siamo soggetto politico o solo un luogo della politica”. Per essere “soggetto” è infatti necessario che ci sia, e sia avvertita, una comune intenzione politica. Proprio quella che non si è più percepita quando fu presentata ai grandi elettori la proposta Marini.
Ma qualcosa si muove. Rodotà cita Civati, Cuperlo, Puppato e Barca tra coloro che, nel Pd, stanno dicendo cose interessanti. Condivido. D’Alema scrive un sms a Puppato: anche questo è un segno. Ripeto. E’ necessario, per non far morire il Pd, che si avvii uno schietto confronto politico e programmatico. Partendo dalla constatazione che la sinistra, tutta la sinistra, non ha una proposta. Delle politiche, forse, ma non una politica. E Per farlo bisogna sterilizzare le vecchie componenti, utili ormai soltanto a spartirsi posti, stanze, segretarie. Ma bisogna anche sospendere rancori, sospetti e pregiudizi. Ce la faremo?