Dicesi ministro per l’integrazione (nel nostro caso Cecile Kyenge) la/il titolare del dicastero che si occupa, difendendone i diritti alla stregua del focalizzarne i doveri, degli stranieri che intendono integrarsi nel nostro Paese per divenirne cittadini. E’ pertanto ovvio che la signora, in via principale lavori in tal senso e, in via subordinata, a tutto ciò che al suo principale impegno è afferente. La signora poi, oltre al bagaglio culturale che possiede perché molto brava, ha a “suo carico” bagaglio (assai meno metaforico) che ha saputo caricarsi stoicamente sulle spalle come hanno fatto tutti i migranti d’ogni epoca e d’ogni etnia (italica compresa): la signora è pertanto il non plus ultra per il dicastero che rappresenta. Non è questione di pelle, semmai di “palle”!
Ottenendo analoghi curricula dai 20 suoi colleghi, forse potremmo addirittura evitare l’aggiunta di decine di sottosegretari&C. appena nominati. Tali nomine paiono più caselline per un puzzle (peraltro assai poco promettente quanto all’immagine finale) piuttosto che necessari elementi per vitale organigramma.
Un esempio a caso: Biancofiore Michaela che ogni associazione contro l’omofobia e non solo, ha criticato al grido di “mica ella!”. E fu così che dalle pari opportunità (bastava andare su Wiki prima di nominarla!) la sottosegretaria in seconda fu tradotta alla funzione pubblica sotto il dicastero del ministro D’Alia che, ricordiamo, già lavorò armoniosamente con la (già on.) Gabriella Carlucci: questione di “pelle”? Pare che il ministro D’Alia abbia però già avvisato la Biancofiore che nel suo ministero ci saranno fatti, non chiacchiere. Dunque questione di “palle”?