Quel misogino di Montalbano

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Montalbano è un misogino? Peggio: di fronte a un uomo che picchia la moglie fino a mandarla in ospedale non fa una piega. Lo si è visto nell’ultimo episodio della nuova serie della fiction tratta dai romanzi di Andrea Camilleri, “La lama di luce”, andato in onda lo scorso 6 maggio: segue, tra gli altri, il caso della strana rapina a Loredana, donna bella e con un marito possessivo e geloso. Rapinata e baciata. O forse rapinata e violentata. Senza inoltrarci nella trama, sta di fatto che quando la donna finisce all’ospedale – “caduta dalle scale” – il nostro Commissario dà per scontato che sia stato il marito a picchiarla fino a ridurla in quello stato, ma non fa una piega. E non vogliamo dover fare paragoni con la cronaca terribile di questi giorni…

Per lui le donne si dividono rigidamente in due categorie: sante o puttane. Le prime sono la sua cuoca, la sua fidanzata, le moglie del questore o del suo vice; le altre sono più o meno tutte. Il suo universo femminile è fatto di ragazze che si sciolgono come la neve di fronte a lui o di prostitute.
Non ci sono donne in caserma. Solo una volta se ne è vista una, e ovviamente apparteneva alla “categoria sante”, una mezza parente che aveva visto crescere. Ma è stata una meteora; sparita.

Il fatto è che Montalbano è un personaggio profondamente misogino, da qualunque punto di vista si guardino le sue storie: anche quando si usa la lente di ingrandimento della semiotica!
Abbiamo “rispolverato” un capitolo di tesi universitaria, su un altro romanzo di Camilleri – “Il ladro di merendine” – in cui veniva effettuata una “traduzione intersemiotica” del personaggio da un media all’altro (il linguaggio è quindi non giornalistico e legato al fine di studio): quello che ne risultava, comunque fosse, era la misoginia di Montalbano. Eccolo:

“L’ira di Livia, che aggredisce Montalbano per il suo atteggiamento nei confronti delle Piccirillo, madre e figlia usando – cosa che per lei non è consueta – dei violenti epiteti (“stronzo e maschilista”) lascia trapelare un giudizio sul comportamento del commissario che non si limita a quel caso. Montalbano è spesso, nelle sue manifestazioni, misogino e maschilista. L’universo femminile di cui si circonda, il tipo di rapporti che instaura con le donne dei suoi romanzi, gli atteggiamenti, sono elementi che vanno tutti nella stessa direzione. Le donne di Montalbano, in particolare in Il ladro di merendine, sono tutte – come vuole il detto popolare – “sante o puttane”. Più precisamente, si dividono in mogli/madri (Livia e la governante, Adelina), da corteggiare (la giovane signora Gulisano), puttane (Karima) o indesiderabili (le Piccirillo, la signora Pinna con le gambe a tronco d’albero). Sono le vecchie le uniche a meritare ora un distaccato rispetto (come Aisha o la maestra Vasile Cozzo), ora un asessuato disprezzo (la signora Lapecora). Un universo femminile, annota il semiologo Gianfranco Marrone, che “può essere articolato al suo interno mediante tre sole grandi isotopie – quella amorosa, quella sessuale, quella culinaria – che non si sovrappongono quasi mai fra loro”.

In “Il ladro di merendine” Livia è non più soltanto l’eterna fidanzata, con la competenza dell’amore e dei rapporti di coppia, ma nel rapporto con François dimostra la propria competenza materna: fatto che turba profondamente Montalbano, che vede messa a repentaglio l’abitudinarietà di un rapporto tutto sommato superficiale. Adelina è la cuoca: cuoca casalinga, con la competenza della cucina. Mai ci sono donne-cuoche nei ristoranti frequentati da Montalbano, né da Calogero, né alla trattoria di Mazara, dove l’arte culinaria è lasciata agli uomini.

Poi ci sono le donne da corteggiare, come la signora Gulisano, “molto bella ma trasandata”, che ha un figlio piccolo e un marito che lavora lontano: vicina di casa dei Lapecora, ha poco da raccontare sul delitto, ma Montalbano si trattiene nel suo appartamento oltre il necessario. E’ nel Cd-Rom che viene sottolineato il carattere del commissario, che propone uno dei giochi interattivi sul dialogo Gulisano/Montalbano: la signora offre un caffè al commissario, lui può rispondere che deve rientrare al commissariato, oppure “l’accetto volentieri”. La risposta giusta è la seconda.

Poi ci sono le “buttane”: come Karima, che viene definita così, senza mezzi termini, dalla signora Lapecora nel romanzo. In televisione la incontriamo prima, è tra la folla all’esterno dal palazzo del delitto nelle prime scene: in questo caso, però, si tratta di una esigenza di regia per mostrare subito una protagonista del racconto, per di più interpretata da una nota attrice, Afef, che può calamitare il pubblico. Con queste figure si esaurisce il triangolo amore-sesso-cucina: le altre figure femminili o sono macchiette o hanno doti di saggezza maturate con l’età che predominano sul loro essere donne.
Come dice ancora Marrone “la donna è innanzitutto un ruolo tematico”, mentre gli uomini sono poliziotti, terroristi, professori, guardie giurate…”

Da giulia.globalst.it


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